Il contributo indaga un esempio emblematico della prassi vigente nel Settecento, che vedeva l’attiva collaborazione al testo da parte di autorevoli e intendenti, specialmente di lingua. Si tratta di un costume consolidato soprattutto nel caso di testi teatrali, che rimase vivo almeno fino all’Alfieri. Il caso esaminato riguarda la composizione e la stampa della Tebaide tradotta dal cardinale Cornelio Bentivoglio d’Aragona, a margine della quale s’indaga, valendosi dei carteggi, la rete delle consultazioni attivata dal potente gerarca ecclesiastico, la stessa da lui messa al lavoro anche su opere di suoi protetti (segnatamente, le tragedie di Antonio Conti). Una particolare attenzione è volta a stabilire la parte avuta dal Frugoni, a lungo sospettato di essere l’autore nascosto. Quanto alla princeps (1729), che non fu controllata dall’autore, la veste lussuosa nasconde un risultato tutt’altro che perfetto. Lo conferma, al di là delle parole del Bentivoglio ai suoi interlocutori, il raffronto con l’autografo della prima stesura (Va. Lat. 9825), che evidenzia mende e fraintendimenti, più che probabili errori d’autore, e costituisce inoltre un valido aiuto in sede ecdotica, per soccorrere le soluzioni congetturali, su dubbi di sostanza, oscillazioni grafiche e morfologiche o nell’uso dei segni diacritici, già da me avanzate nell’edizione critica del testo (Salerno Editrice, 2000).

La Tebaide di Cornelio Bentivoglio: la stesura collaborativa, la parte del Frugoni e la princeps

RABBONI, Renzo
2016-01-01

Abstract

Il contributo indaga un esempio emblematico della prassi vigente nel Settecento, che vedeva l’attiva collaborazione al testo da parte di autorevoli e intendenti, specialmente di lingua. Si tratta di un costume consolidato soprattutto nel caso di testi teatrali, che rimase vivo almeno fino all’Alfieri. Il caso esaminato riguarda la composizione e la stampa della Tebaide tradotta dal cardinale Cornelio Bentivoglio d’Aragona, a margine della quale s’indaga, valendosi dei carteggi, la rete delle consultazioni attivata dal potente gerarca ecclesiastico, la stessa da lui messa al lavoro anche su opere di suoi protetti (segnatamente, le tragedie di Antonio Conti). Una particolare attenzione è volta a stabilire la parte avuta dal Frugoni, a lungo sospettato di essere l’autore nascosto. Quanto alla princeps (1729), che non fu controllata dall’autore, la veste lussuosa nasconde un risultato tutt’altro che perfetto. Lo conferma, al di là delle parole del Bentivoglio ai suoi interlocutori, il raffronto con l’autografo della prima stesura (Va. Lat. 9825), che evidenzia mende e fraintendimenti, più che probabili errori d’autore, e costituisce inoltre un valido aiuto in sede ecdotica, per soccorrere le soluzioni congetturali, su dubbi di sostanza, oscillazioni grafiche e morfologiche o nell’uso dei segni diacritici, già da me avanzate nell’edizione critica del testo (Salerno Editrice, 2000).
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