Il titolo, richiamando esplicitamente l’opera di Luigi Pirandello, prefigura un’analisi di come la propaganda della Prima guerra mondiale abbia sfruttato il corpo (inteso sia nella sua fisicità, che nella sua dimensione simbolica) per declinare alcune tematizzazioni, peculiari ma al contempo ricorrenti nei diversi Paesi belligeranti. Nell’ambito dei principi-chiave della propaganda (irrazionalità, semplicità, creazione del nemico e ininfluenza della veridicità), è stata analizzata parte della produzione di immagini, prevalentemente manifesti e cartoline, del periodo bellico o immediatamente successivo. Questo perché l’immagine rivela dirompenti forze attrattive e seduttive, razionalizzabili come potere simbolico, decisivo propulsore nella creazione del consenso perché collettivamente comunicato, compreso e condiviso. Nelle finalità propagandistiche di numerosi manifesti emerge primariamente il singolo individuo (l’ “uno”), come nel caso del richiamo ad assumere una responsabilità diretta nel conflitto, o dell’utilizzo della figura femminile (madre/moglie/fidanzata), allegorica rappresentazione della madrepatria e di legami che legittimano e sono legittimati proprio l’/dall’impegno attivo di ciascuno. A ciò va affiancata la cosiddetta “militarizzazione dell’infanzia”, paradossale negazione della stessa che integra e rende il bambino attore del conflitto, sprone all’impegno dei padri al fronte e oggetto privilegiato dell’Atrocity propaganda. Infine, anche il corpo ferito o mutilato dei reduci diviene uno strumento propagandistico atto a rafforzare l’ineluttabilità dell’obbligo morale di ciascuno, ma anche dell’impossibilità di sottrarvisi. L’uno diventa però l’uomo-massa in altre situazioni comunicative: i “centomila” simboleggiano la scomparsa dell’individuo nella massa e, persino, nel fango e negli anfratti delle trincee, come se intrinsecamente vi appartenesse. Si tratta della celebrazione corporea di un ideale culturale immediatamente intelligibile e condivisibile, rivelando l’ingente dispiegamento di uomini e al contempo l’immane sacrificio. Difficile, in alcune immagini, distinguere il singolo volto, ciò che emerge è l’insieme: da un lato, tale contenuto propagandistico è sostanziale per veicolare un impegno collettivo, dall’altro esso rivela inequivocabilmente il carattere massificante del conflitto. Infine il “nessuno”, cioè la creazione e la stigmatizzazione del nemico, raffigurato in termini demoniaci e quindi capace delle peggiori brutalità e efferatezze. Per rendere efficace l’impatto emozionale di tale rappresentazione, il primo passo consiste nel cancellarne il volto umano, deformandone le fattezze sino al punto di trasformarlo in un archetipo di disumanità (ad esempio, l’ “orco tedesco”). Il “nessuno” è pertanto l’estraneità assoluta perché non appartiene ai nostri orizzonti culturali, ma un essere bestiale che ripropone (in uno strano mélange di arcaicità e modernità) la paradigmatica contrapposizione civiltà versus barbarie.

“Uno, nessuno e centomila”. L’uso del corpo nella propaganda della Grande Guerra

POCECCO, Antonella
2016-01-01

Abstract

Il titolo, richiamando esplicitamente l’opera di Luigi Pirandello, prefigura un’analisi di come la propaganda della Prima guerra mondiale abbia sfruttato il corpo (inteso sia nella sua fisicità, che nella sua dimensione simbolica) per declinare alcune tematizzazioni, peculiari ma al contempo ricorrenti nei diversi Paesi belligeranti. Nell’ambito dei principi-chiave della propaganda (irrazionalità, semplicità, creazione del nemico e ininfluenza della veridicità), è stata analizzata parte della produzione di immagini, prevalentemente manifesti e cartoline, del periodo bellico o immediatamente successivo. Questo perché l’immagine rivela dirompenti forze attrattive e seduttive, razionalizzabili come potere simbolico, decisivo propulsore nella creazione del consenso perché collettivamente comunicato, compreso e condiviso. Nelle finalità propagandistiche di numerosi manifesti emerge primariamente il singolo individuo (l’ “uno”), come nel caso del richiamo ad assumere una responsabilità diretta nel conflitto, o dell’utilizzo della figura femminile (madre/moglie/fidanzata), allegorica rappresentazione della madrepatria e di legami che legittimano e sono legittimati proprio l’/dall’impegno attivo di ciascuno. A ciò va affiancata la cosiddetta “militarizzazione dell’infanzia”, paradossale negazione della stessa che integra e rende il bambino attore del conflitto, sprone all’impegno dei padri al fronte e oggetto privilegiato dell’Atrocity propaganda. Infine, anche il corpo ferito o mutilato dei reduci diviene uno strumento propagandistico atto a rafforzare l’ineluttabilità dell’obbligo morale di ciascuno, ma anche dell’impossibilità di sottrarvisi. L’uno diventa però l’uomo-massa in altre situazioni comunicative: i “centomila” simboleggiano la scomparsa dell’individuo nella massa e, persino, nel fango e negli anfratti delle trincee, come se intrinsecamente vi appartenesse. Si tratta della celebrazione corporea di un ideale culturale immediatamente intelligibile e condivisibile, rivelando l’ingente dispiegamento di uomini e al contempo l’immane sacrificio. Difficile, in alcune immagini, distinguere il singolo volto, ciò che emerge è l’insieme: da un lato, tale contenuto propagandistico è sostanziale per veicolare un impegno collettivo, dall’altro esso rivela inequivocabilmente il carattere massificante del conflitto. Infine il “nessuno”, cioè la creazione e la stigmatizzazione del nemico, raffigurato in termini demoniaci e quindi capace delle peggiori brutalità e efferatezze. Per rendere efficace l’impatto emozionale di tale rappresentazione, il primo passo consiste nel cancellarne il volto umano, deformandone le fattezze sino al punto di trasformarlo in un archetipo di disumanità (ad esempio, l’ “orco tedesco”). Il “nessuno” è pertanto l’estraneità assoluta perché non appartiene ai nostri orizzonti culturali, ma un essere bestiale che ripropone (in uno strano mélange di arcaicità e modernità) la paradigmatica contrapposizione civiltà versus barbarie.
2016
978-88-8190-333-7
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