L’entrata in guerra del regno d’Italia al fianco delle potenze dell’Intesa, il 24 maggio 1915, non colse del tutto di sorpresa il comando supremo dell’esercito austro-ungarico: la possibilità che gli italiani seguissero il loro interesse nazionale più che la fedeltà alla Triplice Alleanza aveva spinto il capo di Stato maggiore austro-ungarico a fortificare i confini con l’Italia. I gravosi impegni bellici della Monarchia sul fronte russo e serbo non impedirono di trasferire truppe sul nuovo fronte sud-occidentale. I comandi austro-ungarici sembrarono inizialmente preoccupati dalla disparità di forze, mentre l’orgoglio e l’autostima dei soldati e degli ufficiali aumentò considerevolmente dopo le prime due offensive italiane sull’Isonzo. Apparvero però già nelle estenuanti battaglie dell’autunno 1915 dei segnali inquietanti: l’esercito italiano si rinforzava più rapidamente di quello austro-ungarico e malgrado i suoi attacchi fossero dispendiosi e non portassero allo sfondamento del fronte, premevano costantemente sul nemico. I contrattacchi delle truppe imperiali e regie, pur se coronati dal successo, costavano cari in termini di vite umane e non riuscivano a riguadagnare tutto il terreno perduto. Nel 1916, dopo il fallimento dell’offensiva di primavera nel Trentino, l’esercito austro-ungarico subì il peso della guerra di materiali imposta dagli italiani, e ne uscì logorato fino al punto critico. Soltanto la stanchezza e le alte perdite italiane impedirono il crollo del fronte sul basso Isonzo nell’autunno 1916. L’introduzione di nuove tattiche servì a contenere le due poderose offensive italiane della primavera ed estate 1917, ma non a limitare il logoramento dell’esercito austro-ungarico, che nei giorni dello sfondamento del fronte a Plezzo-Tolmino (24-26 ottobre), non riuscì ad alimentare lo sforzo congiunto austro-tedesco, semplicemente perché le armate sul basso Isonzo erano del tutto esaurite dalle battaglie difensive dell’estate. Malgrado il brillante successo di Caporetto e la corsa al Piave, l’Isonzo si era ormai rivelato il fiume del destino perché in due anni di continue e logoranti battaglie aveva inesorabilmente fiaccato la potenza difensiva e offensiva delle truppe austro-ungariche. La battaglia del Piave nel giugno 1918 avrebbe dimostrato a tutto vantaggio degli italiani fino a che punto si fosse indebolito l’esercito della Duplice Monarchia.

Il fiume del destino. Le battaglie dell’Isonzo e l’inesorabile logoramento dell’esercito austro-ungarico.

VOLPI, Gianluca
2016-01-01

Abstract

L’entrata in guerra del regno d’Italia al fianco delle potenze dell’Intesa, il 24 maggio 1915, non colse del tutto di sorpresa il comando supremo dell’esercito austro-ungarico: la possibilità che gli italiani seguissero il loro interesse nazionale più che la fedeltà alla Triplice Alleanza aveva spinto il capo di Stato maggiore austro-ungarico a fortificare i confini con l’Italia. I gravosi impegni bellici della Monarchia sul fronte russo e serbo non impedirono di trasferire truppe sul nuovo fronte sud-occidentale. I comandi austro-ungarici sembrarono inizialmente preoccupati dalla disparità di forze, mentre l’orgoglio e l’autostima dei soldati e degli ufficiali aumentò considerevolmente dopo le prime due offensive italiane sull’Isonzo. Apparvero però già nelle estenuanti battaglie dell’autunno 1915 dei segnali inquietanti: l’esercito italiano si rinforzava più rapidamente di quello austro-ungarico e malgrado i suoi attacchi fossero dispendiosi e non portassero allo sfondamento del fronte, premevano costantemente sul nemico. I contrattacchi delle truppe imperiali e regie, pur se coronati dal successo, costavano cari in termini di vite umane e non riuscivano a riguadagnare tutto il terreno perduto. Nel 1916, dopo il fallimento dell’offensiva di primavera nel Trentino, l’esercito austro-ungarico subì il peso della guerra di materiali imposta dagli italiani, e ne uscì logorato fino al punto critico. Soltanto la stanchezza e le alte perdite italiane impedirono il crollo del fronte sul basso Isonzo nell’autunno 1916. L’introduzione di nuove tattiche servì a contenere le due poderose offensive italiane della primavera ed estate 1917, ma non a limitare il logoramento dell’esercito austro-ungarico, che nei giorni dello sfondamento del fronte a Plezzo-Tolmino (24-26 ottobre), non riuscì ad alimentare lo sforzo congiunto austro-tedesco, semplicemente perché le armate sul basso Isonzo erano del tutto esaurite dalle battaglie difensive dell’estate. Malgrado il brillante successo di Caporetto e la corsa al Piave, l’Isonzo si era ormai rivelato il fiume del destino perché in due anni di continue e logoranti battaglie aveva inesorabilmente fiaccato la potenza difensiva e offensiva delle truppe austro-ungariche. La battaglia del Piave nel giugno 1918 avrebbe dimostrato a tutto vantaggio degli italiani fino a che punto si fosse indebolito l’esercito della Duplice Monarchia.
2016
978-88-6803-181-7
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