La questione dei fini e dei confini dell’arte, dei suoi rapporti con la scienza e la religione, è al centro della riflessione filosofica di inizio secolo. L’idea che l’arte debba farsi “progetto”, costruzione di vita, propria alla tradizione russa ottocentesca, viene interpretata e reinterpretata dalla cultura rivoluzionaria a cavallo dei due secoli per ricevere poi nuovi stimoli dagli sconvolgimenti della Rivoluzione. E’ in questo contesto che va letta la riflessione attorno al rapporto tra arte, natura, scienza e tecnica, sviluppata da Ejzenštejn. Le costruzioni teoriche fondamentali che costituiscono l’orizzonte culturale su cui si disegna l’estetica di Ejzenštejn sono state individuate ora nel materialismo dialettico di matrice marxista, ora nell’ideologia del Proletkul’t. Ma un’ipotesi di lavoro interessante può essere che abbia giocato un ruolo non meno rilevante il “supramoralismo estetico” di Nikolaj Fjodorov, se non attraverso una lettura diretta, per lo meno attraverso l’assorbimento di alcune sue idee-chiave che erano nell’aria. Fjodorov assegna all’arte, e alla memoria che vi è connessa, una centralità assoluta: l’arte, concepita come resurrezione di forme arcaiche depositate nelle strutture profonde della coscienza, organizza in modo creativo il materiale naturale, è una sorta di laboratorio in cui si sperimenta preventivamente quel principio di “regolazione della natura” che sarà alla base della ri-creazione dell’universo. Nella concezione dell’arte patetica sviluppata da Ejzenštejn, nella sua aspirazione a realizzare un’opera d’arte organica che fosse strumento di costruzione del mondo, si può riconoscere la stessa aspirazione “cosmica”, la stessa ansia totalizzante che sta alla base dell’idea fjodoroviana di una sintesi di scienza, arte e tecnica. Tale sintesi è resa possibile dal fatto che, per Ejzenštejn come per Fedorov, la materia stessa è la sede della memoria, e l’uomo è un “grumo di materia pensante”.

Riflessi dell’estetica dello zhiznetvorchestvo di Nikolaj Fedorov nella concezione dell’arte di Ejzenshtejn

FAGGIONATO, Raffaella
2009-01-01

Abstract

La questione dei fini e dei confini dell’arte, dei suoi rapporti con la scienza e la religione, è al centro della riflessione filosofica di inizio secolo. L’idea che l’arte debba farsi “progetto”, costruzione di vita, propria alla tradizione russa ottocentesca, viene interpretata e reinterpretata dalla cultura rivoluzionaria a cavallo dei due secoli per ricevere poi nuovi stimoli dagli sconvolgimenti della Rivoluzione. E’ in questo contesto che va letta la riflessione attorno al rapporto tra arte, natura, scienza e tecnica, sviluppata da Ejzenštejn. Le costruzioni teoriche fondamentali che costituiscono l’orizzonte culturale su cui si disegna l’estetica di Ejzenštejn sono state individuate ora nel materialismo dialettico di matrice marxista, ora nell’ideologia del Proletkul’t. Ma un’ipotesi di lavoro interessante può essere che abbia giocato un ruolo non meno rilevante il “supramoralismo estetico” di Nikolaj Fjodorov, se non attraverso una lettura diretta, per lo meno attraverso l’assorbimento di alcune sue idee-chiave che erano nell’aria. Fjodorov assegna all’arte, e alla memoria che vi è connessa, una centralità assoluta: l’arte, concepita come resurrezione di forme arcaiche depositate nelle strutture profonde della coscienza, organizza in modo creativo il materiale naturale, è una sorta di laboratorio in cui si sperimenta preventivamente quel principio di “regolazione della natura” che sarà alla base della ri-creazione dell’universo. Nella concezione dell’arte patetica sviluppata da Ejzenštejn, nella sua aspirazione a realizzare un’opera d’arte organica che fosse strumento di costruzione del mondo, si può riconoscere la stessa aspirazione “cosmica”, la stessa ansia totalizzante che sta alla base dell’idea fjodoroviana di una sintesi di scienza, arte e tecnica. Tale sintesi è resa possibile dal fatto che, per Ejzenštejn come per Fedorov, la materia stessa è la sede della memoria, e l’uomo è un “grumo di materia pensante”.
2009
9788884205315
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