Sin dalla sua nascita al cinema è stato imposto di essere un oggetto “derivato”: dalla narrativa, dall’epica oppure dal melodramma. «L’immaginazione melodrammatica», per citare il titolo del noto testo di Peter Brooks, ha così condizionato anche la vita della settima arte per cui il teatro d’opera ha largamente ispirato il vissuto dei registi e la formazione degli stessi musicisti cinematografici, soprattutto quelli appartenenti alla scuola italiana che proprio nelle pagine verdiane trovarono ispirazione per le loro partiture. Già negli anni Trenta, Darius Milhaud aveva accortamente notato come Verdi e Wagner fossero i principali punti di riferimento della nascente musica cinematografica, non solo quella italiana ma quella europea tout-court (cfr.Wagner, Verdi ed il film, «Cinema», II/22, 1937), invitando allo stesso tempo i compositori ad imboccare nuove vie. Questa osmosi, spesso rimasta al livello di una semplice constatazione condivisa, tutt’oggi risulta essere opaca se non inesplorata. La figura di Giuseppe Verdi è stata un ben preciso punto di riferimento del cinema italiano, articolando questa complessa relazione su più livelli e all’interno del preciso contesto storico dei primi decenni del secondo dopoguerra (dal 1950 al 1980 circa). 1) Molte volte la musica di Verdi è presente all’interno della narrazione cinematografica secondo diversi gradi di complessità e assecondando diverse funzioni. Tra le tante, basti pensare alla colonna sonora de Il gattopardo di Luchino Visconti (1963), in cui troviamo il celebre Valzer nella lunghissima sequenza finale oppure il Coro delle zingarelle eseguito da una sgangherata banda di paese ad accogliere l’arrivo della famiglia del principe Salina a Donnafugata. Una scelta che riflette un ben preciso costume dell’epoca in cui il film è stato girato quando le bande di paese eseguivano le note pagine della tradizione operistica all’interno delle loro performance. Con modalità del tutto diverse, in E la nave va (1983) la partitura de La forza del destino, scomposta e ricomposta a partire da alcuni suoi elementi, si unisce ai versi di Andrea Zanzotto che invece rifanno liberamente quelli del libretto originale, creando un ‘gioco a specchi’ perfettamente consono alla natura del film e, in genere, alla poetica felliniana, con le sue ambivalenze oniriche. Altrove la scelta del repertorio si carica di precise funzioni espressive. Ne La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1960) lo stereo di cui Lorenzo si serve per far ascoltare ad Aida la celebre Romanza di Radamès diviene strumento per la sua dichiarazione d’amore, rivelando un sentimento che egli altrimenti non sarebbe in grado di esprimere. Su tutti, va però ricordato il finale de I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965) quando Sandro, dopo aver salutato la sorella, ha una violentissima crisi epilettica nella propria camera. A quel punto in sottofondo si sentono le note del Finale del primo atto di Traviata che s’impongono per l’evidente dismisura del prolungato acuto finale del soprano. Questo provoca, così, uno slittamento dei piani percettivi, imponendosi con i tratti della marcata evidenza che rendono la musica non più una semplice presenza all’interno della sceneggiatura ma un vero e proprio commento della stessa. Abbiamo, pertanto, a che fare con una novità stilistica di grande portata, difficilmente inquadrabile nei consueti usi che il cinema ha fatto del teatro d’opera. 2) Molte volte la musica di Verdi è stata utilizzata come musica da commento e/o accompagnamento di pellicole cinematografiche. Ha così “ispirato” quella di alcune partiture facendo leva sul suo facile riconoscimento da parte del pubblico che allora affollava le sale cinematografiche. Alessandro Cicognini, compositore che molte volte ha fatto ricorso a celebri luoghi verdiani, nel finale di Ladri di biciclette (1948) cita così espressamente, e pateticamente tradendo uno dei presupposti della poetica del neorealismo, alcuni temi di Aida. 3) I condizionamenti del teatro d’opera nei confronti della musica per film, ovviamente, non si esauriscono solo al livello delle semplici citazioni tematiche, ma porta anche a considerare le principali funzioni della musica per film che direttamente rimandano alla drammaturgia operistica sulla base di un comune orizzonte in cui si collocano le funzioni della musica a livello esterno. Parlando dei motivi di reminiscenza nel teatro d’opera di Giuseppe Verdi, Emilio Sala sottolinea come il motivo di reminiscenza ci possa introdurre nella sfera interiore di Marguerite-Violetta quasi fosse una vera e propria soggettiva sonora come accade, aggiungiamo noi, nei tanti protagonisti del cinema di Federico Fellini. 4) In alcuni film, infine, i modelli operistici giungono ad essere il vero e proprio punto di riferimento per la drammaturgia filmica. Se in Traviata ‘53 (1953) Vittorio Cottafavi fa indirettamente riferimento all’opera verdiana a livello dell’articolazione della trama, in Senso Luchino Visconti (1954) trasferisce «i sentimenti espressi dal Trovatore di Verdi dalla ribalta in una storia di guerra e di ribellione», come egli stesso ha ribadito nel corso di una celebre intervista. Il film si apre con una scena del Trovatore verdiano dando vita ad un folgorante inizio, operato sul piano della scrittura, che rovescia il melodramma sulla realtà e lo proietta sulla scena della storia. La generale struttura melodrammatica del racconto è ulteriormente suffragata dalla presenza di numerosi coup de thèâtre nei finali d’atto e dall’architettura simmetrica dei quattro atti, per cui i due centrali presentano delle situazioni a specchio e sono incorniciati da un prologo e un epilogo finale, molto più contenuti da un punto di vista della durata.

Presenze verdiane nel cinema italiano del secondo dopoguerra

CALABRETTO, Roberto
2015-01-01

Abstract

Sin dalla sua nascita al cinema è stato imposto di essere un oggetto “derivato”: dalla narrativa, dall’epica oppure dal melodramma. «L’immaginazione melodrammatica», per citare il titolo del noto testo di Peter Brooks, ha così condizionato anche la vita della settima arte per cui il teatro d’opera ha largamente ispirato il vissuto dei registi e la formazione degli stessi musicisti cinematografici, soprattutto quelli appartenenti alla scuola italiana che proprio nelle pagine verdiane trovarono ispirazione per le loro partiture. Già negli anni Trenta, Darius Milhaud aveva accortamente notato come Verdi e Wagner fossero i principali punti di riferimento della nascente musica cinematografica, non solo quella italiana ma quella europea tout-court (cfr.Wagner, Verdi ed il film, «Cinema», II/22, 1937), invitando allo stesso tempo i compositori ad imboccare nuove vie. Questa osmosi, spesso rimasta al livello di una semplice constatazione condivisa, tutt’oggi risulta essere opaca se non inesplorata. La figura di Giuseppe Verdi è stata un ben preciso punto di riferimento del cinema italiano, articolando questa complessa relazione su più livelli e all’interno del preciso contesto storico dei primi decenni del secondo dopoguerra (dal 1950 al 1980 circa). 1) Molte volte la musica di Verdi è presente all’interno della narrazione cinematografica secondo diversi gradi di complessità e assecondando diverse funzioni. Tra le tante, basti pensare alla colonna sonora de Il gattopardo di Luchino Visconti (1963), in cui troviamo il celebre Valzer nella lunghissima sequenza finale oppure il Coro delle zingarelle eseguito da una sgangherata banda di paese ad accogliere l’arrivo della famiglia del principe Salina a Donnafugata. Una scelta che riflette un ben preciso costume dell’epoca in cui il film è stato girato quando le bande di paese eseguivano le note pagine della tradizione operistica all’interno delle loro performance. Con modalità del tutto diverse, in E la nave va (1983) la partitura de La forza del destino, scomposta e ricomposta a partire da alcuni suoi elementi, si unisce ai versi di Andrea Zanzotto che invece rifanno liberamente quelli del libretto originale, creando un ‘gioco a specchi’ perfettamente consono alla natura del film e, in genere, alla poetica felliniana, con le sue ambivalenze oniriche. Altrove la scelta del repertorio si carica di precise funzioni espressive. Ne La ragazza con la valigia di Valerio Zurlini (1960) lo stereo di cui Lorenzo si serve per far ascoltare ad Aida la celebre Romanza di Radamès diviene strumento per la sua dichiarazione d’amore, rivelando un sentimento che egli altrimenti non sarebbe in grado di esprimere. Su tutti, va però ricordato il finale de I pugni in tasca di Marco Bellocchio (1965) quando Sandro, dopo aver salutato la sorella, ha una violentissima crisi epilettica nella propria camera. A quel punto in sottofondo si sentono le note del Finale del primo atto di Traviata che s’impongono per l’evidente dismisura del prolungato acuto finale del soprano. Questo provoca, così, uno slittamento dei piani percettivi, imponendosi con i tratti della marcata evidenza che rendono la musica non più una semplice presenza all’interno della sceneggiatura ma un vero e proprio commento della stessa. Abbiamo, pertanto, a che fare con una novità stilistica di grande portata, difficilmente inquadrabile nei consueti usi che il cinema ha fatto del teatro d’opera. 2) Molte volte la musica di Verdi è stata utilizzata come musica da commento e/o accompagnamento di pellicole cinematografiche. Ha così “ispirato” quella di alcune partiture facendo leva sul suo facile riconoscimento da parte del pubblico che allora affollava le sale cinematografiche. Alessandro Cicognini, compositore che molte volte ha fatto ricorso a celebri luoghi verdiani, nel finale di Ladri di biciclette (1948) cita così espressamente, e pateticamente tradendo uno dei presupposti della poetica del neorealismo, alcuni temi di Aida. 3) I condizionamenti del teatro d’opera nei confronti della musica per film, ovviamente, non si esauriscono solo al livello delle semplici citazioni tematiche, ma porta anche a considerare le principali funzioni della musica per film che direttamente rimandano alla drammaturgia operistica sulla base di un comune orizzonte in cui si collocano le funzioni della musica a livello esterno. Parlando dei motivi di reminiscenza nel teatro d’opera di Giuseppe Verdi, Emilio Sala sottolinea come il motivo di reminiscenza ci possa introdurre nella sfera interiore di Marguerite-Violetta quasi fosse una vera e propria soggettiva sonora come accade, aggiungiamo noi, nei tanti protagonisti del cinema di Federico Fellini. 4) In alcuni film, infine, i modelli operistici giungono ad essere il vero e proprio punto di riferimento per la drammaturgia filmica. Se in Traviata ‘53 (1953) Vittorio Cottafavi fa indirettamente riferimento all’opera verdiana a livello dell’articolazione della trama, in Senso Luchino Visconti (1954) trasferisce «i sentimenti espressi dal Trovatore di Verdi dalla ribalta in una storia di guerra e di ribellione», come egli stesso ha ribadito nel corso di una celebre intervista. Il film si apre con una scena del Trovatore verdiano dando vita ad un folgorante inizio, operato sul piano della scrittura, che rovescia il melodramma sulla realtà e lo proietta sulla scena della storia. La generale struttura melodrammatica del racconto è ulteriormente suffragata dalla presenza di numerosi coup de thèâtre nei finali d’atto e dall’architettura simmetrica dei quattro atti, per cui i due centrali presentano delle situazioni a specchio e sono incorniciati da un prologo e un epilogo finale, molto più contenuti da un punto di vista della durata.
2015
9782825144381
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11390/1082973
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