Se una fenomenologia dei protagonisti tolstoiani risulta relativamente facile e ad essa molti studi sono stati dedicati, non si può dire lo stesso per quel mare di umanità costituito dai personaggi minori. Spesso il loro carattere e le loro peculiarità sono immediatamente evidenti, grazie a quella tecnica che Nabokov ha definito “del tratto essenziale”: un certo modo di increspare il labbro superiore nella principessa Bolkonskaja, lo scrocchiare le dita di Karenin, etc.. Altri personaggi hanno invece un evidente carattere simbolico, sono funzioni più che uomini e donne reali. Il mužik che picchia sul ferro in Anna Karenina, o la bimba dal volto deforme vista da Anna dal finestrino del treno, poco prima del suicidio, hanno la stessa valenza della quercia in cui si imbatte Andrej Bolkonskij, o del cielo di Austerlitz: sono indicatori concreti di un destino che è lì ad attendere l’eroe o l’eroina. C’è poi un nutrito gruppo di personaggi minori, forse il più interessante, che sembrerebbero accomunati dall’appartenenza al mondo dei semplici: zio Eroška (I cosacchi), Platon Karataev (Guerra e pace), Gerasim (La morte di Ivan Il’ič), Pašenka (Padre Sergij), i murid che accompagnano Chadži Murat, e tanti altri. Effettivamente essi sono accomunati da alcuni tratti che sembrerebbero legati all’appartenenza al “popolo” in senso russoiano, in quanto ideale positivo di armonia inconsapevole dal quale gli eroi che riflettono, corrotti dalla loro cultura e dal vivere civile, sono irrimediabilmente esclusi. Tuttavia nei caratteri tipologici di questi personaggi c’è anche dell’altro: essi si esprimono in genere in modo sconnesso; i loro atti non rispondono alla logica di causa-effetto; vivono in un presente immobile, fuori dallo scorrere del tempo, e in un luogo fisso; nutrono un totale disinteresse per il denaro e i beni terreni; sono spesso legati alla sfera del canto; in loro l’umiltà (smirenie) è un tratto connaturato, non una scelta; sono portatori di verità, ma in modo inconsapevole. In genere, svolgono in romanzi e racconti una funzione ben precisa, sono inscindibili dagli eroi principali e dalla loro sorte: è impossibile per il lettore “vedere” la figura goffa di Bezuchov senza il rotondo ed agile Platon Karataev accanto, o quella sofferente e martoriata di Ivan Il’ič disgiunta dall’immagine del fedele Gerasim al suo capezzale; e così via. Sarebbe tuttavia fuorviante leggere questo tipo di personaggio come una semplice “funzione”, come una sorta di “aiutante”, necessario per indirizzare o spingere avanti il protagonista lungo il suo percorso. Infatti, a ben vedere egli non svolge mai un ruolo attivo, è piuttosto per il protagonista una “pietra d’inciampo”, la realizzazione di quanto è già implicito a priori nel suo percorso, potenzialmente inserito nella sua natura e in quel coacervo di avvenimenti che costituiscono il tessuto della sua esistenza, la quale appare governata da leggi che si sottraggono totalmente alla logica aristotelico-cartesiana. La passività, che accomuna i protagonisti a questo gruppo di personaggi solo apparentemente secondari, costituisce infatti un attacco sferrato da Tolstoj al principio di non-contraddizione. Lungo la strada che i protagonisti percorrono, questi personaggi sono sprazzi di illuminazione, squarci sulla verità che li attende, grumi in cui si condensa il caso/destino che presiede alle vicende umane. Tutto in loro risponde quindi a una logica diversa, risponde all’insofferenza di Tolstoj nei confronti della ragione cartesiana. All’origine di questi personaggi non c’è solo la lettura di Rousseau; su un impianto filosofico che è certamente di matrice russoiana si innestano anche altri filoni di pensiero, riconducibili alla tradizione ermetica, con cui Tolstoj aveva dimestichezza.

I personaggi "minori" nell'opera di Lev Tolstoj: da nodi di riflessione a simboli

R. Faggionato
2017-01-01

Abstract

Se una fenomenologia dei protagonisti tolstoiani risulta relativamente facile e ad essa molti studi sono stati dedicati, non si può dire lo stesso per quel mare di umanità costituito dai personaggi minori. Spesso il loro carattere e le loro peculiarità sono immediatamente evidenti, grazie a quella tecnica che Nabokov ha definito “del tratto essenziale”: un certo modo di increspare il labbro superiore nella principessa Bolkonskaja, lo scrocchiare le dita di Karenin, etc.. Altri personaggi hanno invece un evidente carattere simbolico, sono funzioni più che uomini e donne reali. Il mužik che picchia sul ferro in Anna Karenina, o la bimba dal volto deforme vista da Anna dal finestrino del treno, poco prima del suicidio, hanno la stessa valenza della quercia in cui si imbatte Andrej Bolkonskij, o del cielo di Austerlitz: sono indicatori concreti di un destino che è lì ad attendere l’eroe o l’eroina. C’è poi un nutrito gruppo di personaggi minori, forse il più interessante, che sembrerebbero accomunati dall’appartenenza al mondo dei semplici: zio Eroška (I cosacchi), Platon Karataev (Guerra e pace), Gerasim (La morte di Ivan Il’ič), Pašenka (Padre Sergij), i murid che accompagnano Chadži Murat, e tanti altri. Effettivamente essi sono accomunati da alcuni tratti che sembrerebbero legati all’appartenenza al “popolo” in senso russoiano, in quanto ideale positivo di armonia inconsapevole dal quale gli eroi che riflettono, corrotti dalla loro cultura e dal vivere civile, sono irrimediabilmente esclusi. Tuttavia nei caratteri tipologici di questi personaggi c’è anche dell’altro: essi si esprimono in genere in modo sconnesso; i loro atti non rispondono alla logica di causa-effetto; vivono in un presente immobile, fuori dallo scorrere del tempo, e in un luogo fisso; nutrono un totale disinteresse per il denaro e i beni terreni; sono spesso legati alla sfera del canto; in loro l’umiltà (smirenie) è un tratto connaturato, non una scelta; sono portatori di verità, ma in modo inconsapevole. In genere, svolgono in romanzi e racconti una funzione ben precisa, sono inscindibili dagli eroi principali e dalla loro sorte: è impossibile per il lettore “vedere” la figura goffa di Bezuchov senza il rotondo ed agile Platon Karataev accanto, o quella sofferente e martoriata di Ivan Il’ič disgiunta dall’immagine del fedele Gerasim al suo capezzale; e così via. Sarebbe tuttavia fuorviante leggere questo tipo di personaggio come una semplice “funzione”, come una sorta di “aiutante”, necessario per indirizzare o spingere avanti il protagonista lungo il suo percorso. Infatti, a ben vedere egli non svolge mai un ruolo attivo, è piuttosto per il protagonista una “pietra d’inciampo”, la realizzazione di quanto è già implicito a priori nel suo percorso, potenzialmente inserito nella sua natura e in quel coacervo di avvenimenti che costituiscono il tessuto della sua esistenza, la quale appare governata da leggi che si sottraggono totalmente alla logica aristotelico-cartesiana. La passività, che accomuna i protagonisti a questo gruppo di personaggi solo apparentemente secondari, costituisce infatti un attacco sferrato da Tolstoj al principio di non-contraddizione. Lungo la strada che i protagonisti percorrono, questi personaggi sono sprazzi di illuminazione, squarci sulla verità che li attende, grumi in cui si condensa il caso/destino che presiede alle vicende umane. Tutto in loro risponde quindi a una logica diversa, risponde all’insofferenza di Tolstoj nei confronti della ragione cartesiana. All’origine di questi personaggi non c’è solo la lettura di Rousseau; su un impianto filosofico che è certamente di matrice russoiana si innestano anche altri filoni di pensiero, riconducibili alla tradizione ermetica, con cui Tolstoj aveva dimestichezza.
2017
9788869953378
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11390/1122939
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