Questo contributo è incentrato sulla problematica relazione tra Ovidio e il ‘secondo principe’, Tiberio, la cui figura, come vari studiosi hanno già osservato, non compare nelle opere dell’esilio con la stessa frequenza di Augusto e Germanico, né tanto meno in contesti celebrativi. Nonostante le fonti storiche descrivano Tiberio come un valente generale, qualità che Ovidio non mette in discussione, il futuro imperatore non rappresentò mai un potenziale interlocutore del poeta e neppure il destinatario delle sue suppliche, rimanendo così sostanzialmente inaccessibile. In queste pagine considero alcune delle ragioni di tale rapporto fallito attraverso la discussione di alcune elegie dai Tristia e dalle Epistulae ex Ponto, anche alla luce dei ritratti che Svetonio e Tacito ci forniscono della vita e dell’ethos del successore di Augusto. È interessante osservare, per esempio, con quanta ostentazione Ovidio lodi l’ingenium di Germanico, ma al contrario non faccia mai riferimento all’attività letteraria di Tiberio, che pur ci è testimoniata da Svetonio: lo storico ne menziona lo stile oscuro e l’erudizione, oltre alla sua ossessiva passione per la mitologia. Questo aspetto si rivela particolarmente degno di nota, se si pensa all’Ibis, l’arduo e oscuro poema di maledizioni composto da Ovidio in esilio e costruito attorno a una fitta sequenza di episodi mitologici. Nell’”Appendice” all’articolo, provo a suggerire che, malgrado Tiberio non fosse entrato ‘ufficialmente’ nel corpus ovidiano dell’esilio come un possibile interlocutore, egli avrebbe potuto rappresentare il destinatario anonimo di un ‘dono’ poetico, un dono tanto oscuro e criptico quanto i suoi gusti letterari, vale a dire, appunto, l’Ibis. Tiberio come ‘lettore ideale’ non solo sarebbe stato verosimilmente in grado di decifrare le oscurità del poema, ma anche di riconoscerne il valore letterario.

Gli eloquenti silenzi della letteratura. Alcune riflessioni su Ovidio e Tiberio

Battistella Chiara
2018-01-01

Abstract

Questo contributo è incentrato sulla problematica relazione tra Ovidio e il ‘secondo principe’, Tiberio, la cui figura, come vari studiosi hanno già osservato, non compare nelle opere dell’esilio con la stessa frequenza di Augusto e Germanico, né tanto meno in contesti celebrativi. Nonostante le fonti storiche descrivano Tiberio come un valente generale, qualità che Ovidio non mette in discussione, il futuro imperatore non rappresentò mai un potenziale interlocutore del poeta e neppure il destinatario delle sue suppliche, rimanendo così sostanzialmente inaccessibile. In queste pagine considero alcune delle ragioni di tale rapporto fallito attraverso la discussione di alcune elegie dai Tristia e dalle Epistulae ex Ponto, anche alla luce dei ritratti che Svetonio e Tacito ci forniscono della vita e dell’ethos del successore di Augusto. È interessante osservare, per esempio, con quanta ostentazione Ovidio lodi l’ingenium di Germanico, ma al contrario non faccia mai riferimento all’attività letteraria di Tiberio, che pur ci è testimoniata da Svetonio: lo storico ne menziona lo stile oscuro e l’erudizione, oltre alla sua ossessiva passione per la mitologia. Questo aspetto si rivela particolarmente degno di nota, se si pensa all’Ibis, l’arduo e oscuro poema di maledizioni composto da Ovidio in esilio e costruito attorno a una fitta sequenza di episodi mitologici. Nell’”Appendice” all’articolo, provo a suggerire che, malgrado Tiberio non fosse entrato ‘ufficialmente’ nel corpus ovidiano dell’esilio come un possibile interlocutore, egli avrebbe potuto rappresentare il destinatario anonimo di un ‘dono’ poetico, un dono tanto oscuro e criptico quanto i suoi gusti letterari, vale a dire, appunto, l’Ibis. Tiberio come ‘lettore ideale’ non solo sarebbe stato verosimilmente in grado di decifrare le oscurità del poema, ma anche di riconoscerne il valore letterario.
2018
978-88-7814-830-7
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