L’imperativo dei prossimi mesi e anni sarà duplice: da una parte difendersi dalle pandemie (e, più in generale, dal susseguirsi di crisi sempre più devastanti e di tipo diverso, comprese quelle climatiche) e, dall’altra, creare sistemi economici regionali più autosufficienti basati sulla creazione di nuove occasioni di lavoro! Resilienza alle crisi, da una parte, nuovo modello di sviluppo regionale, dall’altra! Bisognerà riorganizzare catene del valore e cicli economici in modo diverso se non altro per proteggersi meglio dalle crisi continue e devastanti e dare più sicurezze ai territori locali. Ma come? E in che aree e settori? É chiaro che, tornare sic et simpliciter, al modello precedente non sarà né possibile né desiderabile. La politica si salverà se saprà regolare le catene del valore assicurando autosufficienza economica, lavoro e una governance autonoma ai territori. Fin che la cosiddetta “buona politica” non capirà questo principio, trionferà inevitabilmente quella “cattiva” e “arrabbiata”. Se le città devono tornare ad essere i luoghi della polis, le campagne, devono tornare a prendersi cura della terra e, tra polis e oikos si dovrà, inevitabilmente, ricercare una nuova alleanza: definiamo, questa nuova alleanza, con il termine di “Ecopoli”. Cosa può fare, allora, in questo nuovo scenario globale, una regione come il Friuli Venezia Giulia? Come fece quarant’anni fa al tempo della ricostruzione post-terremoto, dovrà acquisire risorse dall’Europa e dallo Stato (o, se necessario, a debito), dovrà darsi grandi piani di investimento in un nuovo modello economico regionale, più sostenibile, più autosufficiente e più resiliente e dovrà investirli nel suo territorio. Ma dove investire? Dove non vanno gli investimenti di Stato ed Europa, naturalmente. La Regione deve intervenire nel rilancio e qualificazione del suo mercato interno, nelle filiere territoriali corte che garantiscono autosufficienza energetica e alimentare, nella valorizzazione delle sue risorse e delle sue qualità ambientali, nel suo “capitale territoriale”. Se non lo fa la Regione chi mai lo farà? Ci sono dei grandi alleati in questo sforzo immane di ricostruzione “ecopolitana”: il mondo delle energie rinnovabili, che è già orientato verso sistemi locali autosufficienti di produzione e consumo; le filiere del cibo, dell’alimentare, del turismo locale; della gestione dei cicli dell’acqua e dei rifiuti. Altri settori possono trovare ampie ragioni per riconvertirsi in tale direzione come l’edilizia della sicurezza, del recupero e della rigenerazione urbana, i trasporti pubblici e privati orientati all’elettrico, il credito locale alle imprese ed alle famiglie, i comuni, grandi e piccoli ecc. Serviranno leggi regionali ad hoc per definire obiettivi e progetti integrati atti a calare sul territorio le risorse in modo snello e veloce ma anche per realizzare il massimo di sinergia tra enti di diverso livello, tra pubblico e privato, tra obiettivi di rigenerazione, di resilienza e nuova occupazione. La metodologia di fondo è quella di identificare un modello integrato e generale di resilienza -ma concreto e fattibile-, e poi partire da progetti locali integrati e ben strutturati e ricomporre, a mano a mano, il disegno più generale e completo.
Il tempo di "Ecopolis" dopo il crollo di "Cosmopolis"
Sandro Fabbro
2021-01-01
Abstract
L’imperativo dei prossimi mesi e anni sarà duplice: da una parte difendersi dalle pandemie (e, più in generale, dal susseguirsi di crisi sempre più devastanti e di tipo diverso, comprese quelle climatiche) e, dall’altra, creare sistemi economici regionali più autosufficienti basati sulla creazione di nuove occasioni di lavoro! Resilienza alle crisi, da una parte, nuovo modello di sviluppo regionale, dall’altra! Bisognerà riorganizzare catene del valore e cicli economici in modo diverso se non altro per proteggersi meglio dalle crisi continue e devastanti e dare più sicurezze ai territori locali. Ma come? E in che aree e settori? É chiaro che, tornare sic et simpliciter, al modello precedente non sarà né possibile né desiderabile. La politica si salverà se saprà regolare le catene del valore assicurando autosufficienza economica, lavoro e una governance autonoma ai territori. Fin che la cosiddetta “buona politica” non capirà questo principio, trionferà inevitabilmente quella “cattiva” e “arrabbiata”. Se le città devono tornare ad essere i luoghi della polis, le campagne, devono tornare a prendersi cura della terra e, tra polis e oikos si dovrà, inevitabilmente, ricercare una nuova alleanza: definiamo, questa nuova alleanza, con il termine di “Ecopoli”. Cosa può fare, allora, in questo nuovo scenario globale, una regione come il Friuli Venezia Giulia? Come fece quarant’anni fa al tempo della ricostruzione post-terremoto, dovrà acquisire risorse dall’Europa e dallo Stato (o, se necessario, a debito), dovrà darsi grandi piani di investimento in un nuovo modello economico regionale, più sostenibile, più autosufficiente e più resiliente e dovrà investirli nel suo territorio. Ma dove investire? Dove non vanno gli investimenti di Stato ed Europa, naturalmente. La Regione deve intervenire nel rilancio e qualificazione del suo mercato interno, nelle filiere territoriali corte che garantiscono autosufficienza energetica e alimentare, nella valorizzazione delle sue risorse e delle sue qualità ambientali, nel suo “capitale territoriale”. Se non lo fa la Regione chi mai lo farà? Ci sono dei grandi alleati in questo sforzo immane di ricostruzione “ecopolitana”: il mondo delle energie rinnovabili, che è già orientato verso sistemi locali autosufficienti di produzione e consumo; le filiere del cibo, dell’alimentare, del turismo locale; della gestione dei cicli dell’acqua e dei rifiuti. Altri settori possono trovare ampie ragioni per riconvertirsi in tale direzione come l’edilizia della sicurezza, del recupero e della rigenerazione urbana, i trasporti pubblici e privati orientati all’elettrico, il credito locale alle imprese ed alle famiglie, i comuni, grandi e piccoli ecc. Serviranno leggi regionali ad hoc per definire obiettivi e progetti integrati atti a calare sul territorio le risorse in modo snello e veloce ma anche per realizzare il massimo di sinergia tra enti di diverso livello, tra pubblico e privato, tra obiettivi di rigenerazione, di resilienza e nuova occupazione. La metodologia di fondo è quella di identificare un modello integrato e generale di resilienza -ma concreto e fattibile-, e poi partire da progetti locali integrati e ben strutturati e ricomporre, a mano a mano, il disegno più generale e completo.File | Dimensione | Formato | |
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