Nella pur ricca bibliografia italiana che a cavallo fra la fine del Novecento e il primo decennio di questo secolo è stata prodotta sul tema delle conseguenze delle leggi razziali e (certo in misura minore) del reintegro dei perseguitati nel dopoguerra, in Italia la questione della posizione degli storici dell’arte è rimasta in ombra. È mancata quindi una riflessione specifica sulle vicende degli storici dell’arte e su eventuali riflessi delle leggi razziali nell’esercizio della loro disciplina: storici dell’arte che non possono a rigore essere considerati una categoria professionale in quanto afferenti, pur nell’ambito del ministero dell’Educazione Nazionale, a diverse amministrazioni (università o soprintendenze) o anche liberi studiosi ed eruditi locali, e pur tuttavia comunità che condivideva pratiche di studio, canali di comunicazione e di diffusione dei risultati, spazi di incontro. Questa lacuna è tanto più evidente in confronto con la bibliografia straniera, a partire da quella, molto ampia, sull’emigrazione degli storici dell’arte tedeschi dopo il 1933 verso il mondo anglosassone e sul suo impatto. Il contributo offre un primo inquadramento del fenomeno, passando in rassegna le vicende di docenti, funzionari e giovani studiosi e propone una riflessione su quanto la disciplina storico-artistica, nel suo complesso e al di là delle diverse declinazioni metodologiche, possa aver contribuito a quel discorso “continuista” che, diffuso anche negli studi storici, tendeva a leggere la tradizione dell’arte italiana come un percorso millenario culminante nella contemporaneità e come emblema di una superiorità italica, premessa di una posizione intrinsecamente razzista.
Leggi razziali e storici dell’arte. Avvio di una ricerca in Italia
Donata Levi
2021-01-01
Abstract
Nella pur ricca bibliografia italiana che a cavallo fra la fine del Novecento e il primo decennio di questo secolo è stata prodotta sul tema delle conseguenze delle leggi razziali e (certo in misura minore) del reintegro dei perseguitati nel dopoguerra, in Italia la questione della posizione degli storici dell’arte è rimasta in ombra. È mancata quindi una riflessione specifica sulle vicende degli storici dell’arte e su eventuali riflessi delle leggi razziali nell’esercizio della loro disciplina: storici dell’arte che non possono a rigore essere considerati una categoria professionale in quanto afferenti, pur nell’ambito del ministero dell’Educazione Nazionale, a diverse amministrazioni (università o soprintendenze) o anche liberi studiosi ed eruditi locali, e pur tuttavia comunità che condivideva pratiche di studio, canali di comunicazione e di diffusione dei risultati, spazi di incontro. Questa lacuna è tanto più evidente in confronto con la bibliografia straniera, a partire da quella, molto ampia, sull’emigrazione degli storici dell’arte tedeschi dopo il 1933 verso il mondo anglosassone e sul suo impatto. Il contributo offre un primo inquadramento del fenomeno, passando in rassegna le vicende di docenti, funzionari e giovani studiosi e propone una riflessione su quanto la disciplina storico-artistica, nel suo complesso e al di là delle diverse declinazioni metodologiche, possa aver contribuito a quel discorso “continuista” che, diffuso anche negli studi storici, tendeva a leggere la tradizione dell’arte italiana come un percorso millenario culminante nella contemporaneità e come emblema di una superiorità italica, premessa di una posizione intrinsecamente razzista.File | Dimensione | Formato | |
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