Interrogato sulle dinamiche dell’architettura attuale, Alvaro Siza Vieira ha affermato che oggi “la base della qualità dell’architettura sta nel lavoro interdisciplinare e nell’accumulazione di conoscenze organizzate dall’architetto che opera precisamente nell’ordinare il lavoro degli specialisti”. Nel panorama attuale in cui il tempo per il progetto ha conosciuto una progressiva contrazione e il controllo sulla costruzione viene demandato sempre più frequentemente a figure estranee al progettista, tale assunto risulta ancor più interessante proprio perché proposto da un architetto che deve il proprio riconoscimento internazionale a progetti in cui l’artigianalità, l’attenzione per il contesto nelle sue più svariate declinazioni, e l’accurata e quasi maniacale cura per il particolare architettonico e per il processo costruttivo hanno rivestito un ruolo fondamentale. La progressiva specializzazione dei saperi ha convertito il ruolo dell’architetto a quello di direttore che si propone ancora di occuparsi di progetti capaci di indagare i luoghi per trarne un ritmo per le proprie composizioni. Ma fino a che punto la formazione dell’architetto oggi si deve spingere verso la conoscenza di discipline altre per poter essere in grado di dirigere il progetto senza essere manipolato? Ed è ancora possibile raggiungere un ordine che, attraverso operazioni di trasformazione e invenzione, si occupi delle infinite combinazioni delle relazioni con le radici profonde di un contesto? Per costruire un alfabeto è necessario esercitarsi a vedere le cose con gli occhi della mente per successive approssimazioni. Alcuni esperimenti didattici e progetti di concorso che si confrontano con resti archeologici di epoche diverse costituiscono la base per indagare metodi e/o modalità di trasformazione di contesti in cui l’interazione con discipline umanistiche e tecniche fornisce all’architetto chiavi di lettura che rendono possibile accogliere il tempo all’interno del progetto e dargli forma.

L’arte del dirigere e il senso del tempo

C. Pirina
2019-01-01

Abstract

Interrogato sulle dinamiche dell’architettura attuale, Alvaro Siza Vieira ha affermato che oggi “la base della qualità dell’architettura sta nel lavoro interdisciplinare e nell’accumulazione di conoscenze organizzate dall’architetto che opera precisamente nell’ordinare il lavoro degli specialisti”. Nel panorama attuale in cui il tempo per il progetto ha conosciuto una progressiva contrazione e il controllo sulla costruzione viene demandato sempre più frequentemente a figure estranee al progettista, tale assunto risulta ancor più interessante proprio perché proposto da un architetto che deve il proprio riconoscimento internazionale a progetti in cui l’artigianalità, l’attenzione per il contesto nelle sue più svariate declinazioni, e l’accurata e quasi maniacale cura per il particolare architettonico e per il processo costruttivo hanno rivestito un ruolo fondamentale. La progressiva specializzazione dei saperi ha convertito il ruolo dell’architetto a quello di direttore che si propone ancora di occuparsi di progetti capaci di indagare i luoghi per trarne un ritmo per le proprie composizioni. Ma fino a che punto la formazione dell’architetto oggi si deve spingere verso la conoscenza di discipline altre per poter essere in grado di dirigere il progetto senza essere manipolato? Ed è ancora possibile raggiungere un ordine che, attraverso operazioni di trasformazione e invenzione, si occupi delle infinite combinazioni delle relazioni con le radici profonde di un contesto? Per costruire un alfabeto è necessario esercitarsi a vedere le cose con gli occhi della mente per successive approssimazioni. Alcuni esperimenti didattici e progetti di concorso che si confrontano con resti archeologici di epoche diverse costituiscono la base per indagare metodi e/o modalità di trasformazione di contesti in cui l’interazione con discipline umanistiche e tecniche fornisce all’architetto chiavi di lettura che rendono possibile accogliere il tempo all’interno del progetto e dargli forma.
2019
978-88-909054-9-0
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