Il contributo verte sull’originale e pregnante traduzione che Elio Vittorini restituì nel 1942 del capolavoro lirico di Federico García Lorca, il “Llanto por Ignacio Sánchez Mejías” (1934-1935), trasportato nella nostra lingua anche da altri grandi scrittori italiani, come Giorgio Caproni e Leonardo Sciascia. Nel suo “Lamento per Ignacio Sánchez Mejías”, Vittorini riproduce la potenza immaginifica con cui Lorca rielabora la tragica morte del torero amico nell’arena, con scelte lessicali talvolta ardite ma quasi sempre molto calzanti. La sua è una resa fortemente addomesticante, dinamizzante ed enfatizzante del modello, di cui si accentuano il pathos e la poderosa carica visiva. Ciò che invece muta rispetto all’originale ‒ a tratti in maniera radicale ‒ sono la struttura sintattica, ma soprattutto l’assetto metrico e ritmico, sottoposti a forti contrazioni e dislocazioni, secondo una tendenza talora esplicitante, talora sintetizzante. L’articolo conduce una disamina contrastiva fra l’elegia di partenza e quella di arrivo attraverso una carrellata di stralci testuali significativi, per giungere alla conclusione che, sebbene il siracusano non riesca a eguagliare la densità polisemica e l’energia compositiva del granadino, certamente con lui condivide una mediterraneità tanto sofferente e tellurica, quanto aliena da pregiudizi e condizionamenti.
Elio Vittorini ricreatore del Llanto lorchiano
Renata Londero
2022-01-01
Abstract
Il contributo verte sull’originale e pregnante traduzione che Elio Vittorini restituì nel 1942 del capolavoro lirico di Federico García Lorca, il “Llanto por Ignacio Sánchez Mejías” (1934-1935), trasportato nella nostra lingua anche da altri grandi scrittori italiani, come Giorgio Caproni e Leonardo Sciascia. Nel suo “Lamento per Ignacio Sánchez Mejías”, Vittorini riproduce la potenza immaginifica con cui Lorca rielabora la tragica morte del torero amico nell’arena, con scelte lessicali talvolta ardite ma quasi sempre molto calzanti. La sua è una resa fortemente addomesticante, dinamizzante ed enfatizzante del modello, di cui si accentuano il pathos e la poderosa carica visiva. Ciò che invece muta rispetto all’originale ‒ a tratti in maniera radicale ‒ sono la struttura sintattica, ma soprattutto l’assetto metrico e ritmico, sottoposti a forti contrazioni e dislocazioni, secondo una tendenza talora esplicitante, talora sintetizzante. L’articolo conduce una disamina contrastiva fra l’elegia di partenza e quella di arrivo attraverso una carrellata di stralci testuali significativi, per giungere alla conclusione che, sebbene il siracusano non riesca a eguagliare la densità polisemica e l’energia compositiva del granadino, certamente con lui condivide una mediterraneità tanto sofferente e tellurica, quanto aliena da pregiudizi e condizionamenti.File | Dimensione | Formato | |
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