L’arco alpino è stato storicamente un’area di passaggio tra il Nord e il Sud d’Europa con percorsi, vie, sentieri e modalità di attraversamento obbligate dalle condizioni topografiche e stagionali. Allo stesso tempo per chi quelle montagne le ha vissute e attraversate nella quotidianità il paesaggio alpino è zona di caccia, di pascolo e in parte di coltivazione. Lungo questo percorso una serie di piccole strutture in pietra e legno costituivano rifugio e supporto a cacciatori e contadini, segnando il paesaggio con le loro piccole sagome e raccontando il divenire del lavoro e delle stagioni. Con il passare del tempo e con il mutare degli stili di vita quelle piccole costruzioni hanno in gran parte perso il loro uso trasformandosi lentamente in rovine e poi ancora in semplici cumuli di pietra, denunciando la fine di un mondo e di quelle tradizioni che segnavano la vita delle comunità alpine. A partire dalla metà degli anni Novanta del ‘900 l’architetto ticinese Martino Pedrocchi ha avviato – grazie anche alla partecipazione di gruppi di studenti e al coinvolgimento delle comunità montane – un progetto sull’architettura rurale in Valle di Blenio e Val Malvaglia, in parte volto al recupero di alcune cascine e in parte finalizzato al recupero della memoria attraverso una ricomposizione del pietrame superstite all’interno di quello che in origine era il sedime della cascina stessa. Nulla a che vedere in quest’ultimo caso con una operazione artistica, nessun omaggio alla land art o all’arte povera, quanto piuttosto un progetto volto a tramandare la memoria di un luogo e con quella la memoria e la vita di un’intera comunità. Oggetti che acquistano il loro ruolo nel paesaggio senza ritrovare una condizione d’uso ma evocandola e testimoniandola con la loro presenza, una presenza capace di proiettare quella condizione rurale verso una nuova modernità.
Musei e patrimonio culturale. Forme di narrazione della contemporaneità
Matteo Iannello
2023-01-01
Abstract
L’arco alpino è stato storicamente un’area di passaggio tra il Nord e il Sud d’Europa con percorsi, vie, sentieri e modalità di attraversamento obbligate dalle condizioni topografiche e stagionali. Allo stesso tempo per chi quelle montagne le ha vissute e attraversate nella quotidianità il paesaggio alpino è zona di caccia, di pascolo e in parte di coltivazione. Lungo questo percorso una serie di piccole strutture in pietra e legno costituivano rifugio e supporto a cacciatori e contadini, segnando il paesaggio con le loro piccole sagome e raccontando il divenire del lavoro e delle stagioni. Con il passare del tempo e con il mutare degli stili di vita quelle piccole costruzioni hanno in gran parte perso il loro uso trasformandosi lentamente in rovine e poi ancora in semplici cumuli di pietra, denunciando la fine di un mondo e di quelle tradizioni che segnavano la vita delle comunità alpine. A partire dalla metà degli anni Novanta del ‘900 l’architetto ticinese Martino Pedrocchi ha avviato – grazie anche alla partecipazione di gruppi di studenti e al coinvolgimento delle comunità montane – un progetto sull’architettura rurale in Valle di Blenio e Val Malvaglia, in parte volto al recupero di alcune cascine e in parte finalizzato al recupero della memoria attraverso una ricomposizione del pietrame superstite all’interno di quello che in origine era il sedime della cascina stessa. Nulla a che vedere in quest’ultimo caso con una operazione artistica, nessun omaggio alla land art o all’arte povera, quanto piuttosto un progetto volto a tramandare la memoria di un luogo e con quella la memoria e la vita di un’intera comunità. Oggetti che acquistano il loro ruolo nel paesaggio senza ritrovare una condizione d’uso ma evocandola e testimoniandola con la loro presenza, una presenza capace di proiettare quella condizione rurale verso una nuova modernità.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.