La ricerca artistica dell’architetto Luigi Moretti è indubbiamente una delle più complesse del Novecento. Questa complessità è dovuta, principalmente, alla particolare modalità con la quale egli interpreta nelle sue opere, sia costruite, sia teoriche, la tradizione e i linguaggi dell’architettura – antica, moderna e contemporanea –, facendoli interagire tra loro. Verso la fine degli anni Trenta, quando la spinta propagandistica si fa più forte e gli elementi architettonici, permanenti o effimeri, imitano, spesso sfacciatamente, quelli antichi, Moretti sceglie una strada indiretta, ma teoricamente più efficace: evocare la lezione di Roma Antica attraverso la Roma Barocca, forse per dimostrare un’ascendenza ininterrotta con il “secolo fascista”. Il presente contributo intende analizzare questo aspetto del lavoro morettiano sulla scorta di due episodi significativi. Il primo è il Padiglione Opera Nazionale Balilla alla Mostra delle colonie estive e dell’assistenza all’infanzia allestita nel Circo Massimo nel 1937. L’impianto della costruzione, con la sua sequenza di ambienti, rievoca quello di una domus romana, ma lo spazio centrale a imbuto delimitato da pareti incurvate, che si apre e inquadra il Palatino, appare debitore della cultura teatrale seicentesca. L’evocazione della Roma imperiale diventa palese nelle sale della Rassegna edilizia della Gioventù Italiana del Littorio allestita a Firenze nel 1942: copie di statue greco-romane, un albero di alloro, architetture antiche riprodotte su pannelli sagomati come i frammenti della Forma Urbis severiana, e altro ancora. Eppure, anche in questo caso, Moretti sembra rileggere Roma Antica in differita, attraverso l’immagine che di essa restituiscono le incisioni di Giovan Battista Piranesi. In tal modo, riesce a creare un ambiente onirico, che allontana gli allestimenti dal pericolo di un effetto fake tipico delle tante imitazioni di quegli anni.

Due allestimenti di Luigi Moretti: il Padiglione dell’Opera Nazionale Balilla (1937) e la Rassegna dell’edilizia della Gioventù Italiana del Littorio (1942)

orietta lanzarini
2024-01-01

Abstract

La ricerca artistica dell’architetto Luigi Moretti è indubbiamente una delle più complesse del Novecento. Questa complessità è dovuta, principalmente, alla particolare modalità con la quale egli interpreta nelle sue opere, sia costruite, sia teoriche, la tradizione e i linguaggi dell’architettura – antica, moderna e contemporanea –, facendoli interagire tra loro. Verso la fine degli anni Trenta, quando la spinta propagandistica si fa più forte e gli elementi architettonici, permanenti o effimeri, imitano, spesso sfacciatamente, quelli antichi, Moretti sceglie una strada indiretta, ma teoricamente più efficace: evocare la lezione di Roma Antica attraverso la Roma Barocca, forse per dimostrare un’ascendenza ininterrotta con il “secolo fascista”. Il presente contributo intende analizzare questo aspetto del lavoro morettiano sulla scorta di due episodi significativi. Il primo è il Padiglione Opera Nazionale Balilla alla Mostra delle colonie estive e dell’assistenza all’infanzia allestita nel Circo Massimo nel 1937. L’impianto della costruzione, con la sua sequenza di ambienti, rievoca quello di una domus romana, ma lo spazio centrale a imbuto delimitato da pareti incurvate, che si apre e inquadra il Palatino, appare debitore della cultura teatrale seicentesca. L’evocazione della Roma imperiale diventa palese nelle sale della Rassegna edilizia della Gioventù Italiana del Littorio allestita a Firenze nel 1942: copie di statue greco-romane, un albero di alloro, architetture antiche riprodotte su pannelli sagomati come i frammenti della Forma Urbis severiana, e altro ancora. Eppure, anche in questo caso, Moretti sembra rileggere Roma Antica in differita, attraverso l’immagine che di essa restituiscono le incisioni di Giovan Battista Piranesi. In tal modo, riesce a creare un ambiente onirico, che allontana gli allestimenti dal pericolo di un effetto fake tipico delle tante imitazioni di quegli anni.
2024
979-12-5469-402-2
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