Il saggio concerne le attività di ricerca correlate alle pratiche di preservazione e restauro digitale del fondo di videotape d’artista art/tapes/22 dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee-La Biennale di Venezia che hanno avuto corso, tra il 2004-2007, presso i Laboratori La Camera Ottica e CREA dell’Università di Udine. Il saggio si incarica di mettere in rilievo le criticità metodologiche implicate dall’uso delle strumentazioni digitali e i problemi epistemologici posti dall’informatizzazione che le attività di preservazione, conservazione e archiviazione del fondo ASAC art/tapes/22 hanno consentito di evidenziare. Far fronte al progressivo decadimento fisico-chimico dei supporti e all’obsolescenza degli apparati di visualizzazione d’epoca, ripristinare la funzionalità dell’opere finalizzandola al processo di “digitalizzazione” significa entrare nel merito di una serie di questioni epistemologiche, estetiche ed etiche che le pratiche di migrazione dall’analogico al digitale comportano. I video d’artista del fondo art/tapes/22, al momento dell’avvio delle attività di preservazione, erano opere “fuori corso” (W. Benjamin, 1928; R. Krauss, 1999) anche perché legate a supporti e a tecnologie di riproduzione divenuti obsoleti, opere che si trovavano da lungo tempo in uno stato di “invisibilità”, di non accessibilità con evidenti conseguenze sul piano della “disseminazione” culturale, della ricerca e degli studi. Nondimeno, la fragilità dei supporti, il rischio di “cancellazione” (non solo) fisica di un tale tipologia di opere e l’oblio che vi si palesa non sono risolvibili sic et simplicter attraverso la migrazione dagli archivi “video” agli archivi “digitali”. Tutt’altro. Il processo di migrazione dall’analogico al digitale fa emergere una serie complessa di questioni affatto inedite, che attengono alla storicità delle opere, al loro valore funzionale (G. Genette, 1994) e al “concetto di archivio” (J. Derrida, 1994). - Nella prima parte del saggio, si è proceduto alla ri-contestualizzazione del corpus art/tapes/22, ovvero delle pratiche video nel campo dell’arte contemporanea evidenziandone sul piano storiografico gli snodi interdisciplinari. È stato messo a fuoco, sul piano audiovisivo (in termini di “espressione” e di “contenuto”), il grado di incidenza d’uso e di pertinenza delle tecnologie utilizzate nelle pratiche videografiche o, più precisamente, nel processo “scritturale” (inscrizione) della materia elettronica (nastro magnetico) anche in ordine alla peculiare dimensione “autografica” e “allografica” (G. Genette, 1994) del videotape d’artista. Si tratta di aspetti che attengono in modo diretto - sul piano teorico e pratico - alla preservazione, al restauro e all’archiviazione digitale e che fanno emergere elementi di forte criticità rispetto alla vulgata della “immaterialità” del video e della variabilità dei formati (“media variabili” J. Ippolito, 1998; “intermediate formats” N. Bourriaud, 2009). Inoltre, si è posto a tema la matrice interdisciplinare delle pratiche videoartistiche e la correlazione tra “opera”, “evento” e “documento” che ne deriva , nonché la valenza “operale” che il documento video è suscettibile di assumere se esposto, ad esempio, in formato installativo (S. Bordini, 1995 ). Il complesso lavoro di ri-contestualizzazione (che ha preceduto l’avvio delle attività di preservazione digitale) del fondo art/tapes/22 ha anche esplicitato la funzione esercitata dall’“archivio” che lo accoglie, quale ambito di documentazione e di conservazione, ma anche di ri-programmazione culturale. Infatti, la rinnovata presenza delle opere art/tapes/22 dovrebbe consentire la disseminazione culturale del fondo (secondo corrette modalità di accesso alle opere/documento definite dal protocollo di preservazione digitale) e dovrebbe essere in grado di ri-attivare la ricerca nella direzione di una “storia plurale” dell’arte contemporanea non più costretta agli ambiti disciplinari troppo settoriali o troppo generici tracciati dalle “equidistanti” storie della video arte, del cinema e dell’arte in cui si registra l’anfibologia dei termini stretti tra la dimensione “mediale” (modalità comunicativa di mezzi espressivi) e quella “ontologica” (“essenza”, qualità estetica). - In una fase in cui a livello europeo, in assenza di protocolli sperimentati e condivisi, è stata avviata una massiccia “traduzione” degli archivi analogici al digitale (una tra le più rilevanti è 40YEARSVIDEOART.DE, ZKM, avviata da Rudolf Frieling, Wulf Herzogenrath tra il 2005 e il 2006 con lo scopo di restaurare e catalogare una selezione di video prodotti in Germania nell’arco degli ultimi quaranta anni), la seconda parte del saggio mette in rilievo come le procedure di migrazione digitale e i processi decisionali sottesi implichino interventi di “ri-mediazione” finalizzati alla diffusione delle opere quasi sempre secondo una logica di adattamento alla nuova interfaccia impiegata; logica adattiva che introduce una modificazione (più o meno sensibile) dell’opera quantomeno nelle modalità percettive. Ad esempio, l’integrità del segnale analogico e la stessa l’integrità audio-visiva dell’opera nella sua dimensione “scritturale” nel processo di digitalizzazione subiscono una sensibile ridefinizione dei caratteri di contrasto e di saturazione. Inoltre, ancorché impercettibile, si determina una perdita di informazione nei processi di compensazione e nelle attività di ricostruzione e sostituzione dei data packets. Al di là della perdita di informazione, anche quantificabile, indotta dai tipi di compressione, è lo stesso sistema di ri-mediazione ad implicare una perdita di informazione. È possibile minimizzare tale perdita, memorizzando tutta l'informazione contestuale e i metadati del documento originale. Ma se non viene mantenuta la storia della trasmissione del documento anche una sola migrazione è in grado di produrre perdita di informazione. Il saggio rileva come nel processo di migrazione in digitale, la multidimensionalità “materica” del videotape assuma una funzione fondamentale. Essa concerne, da un lato, l’involucro e il nastro magnetico che definiscono il videotape nella dimensione oggettuale, quale “opera-oggetto” che contiene, supporta, veicola e rende riproducibile l’inscrizione “scritturale” in cui essa consiste a livello sostanziale, formale e materiale. Dall’altro lato, al contempo, la “matericità” concerne la texture audiovisiva elettronica inscritta - “messa in testo” - dall’artista che definisce il videotape in quanto “opera” tout court (nei suoi aspetti autografici-allografici). È di tutta evidenza che le operazioni di “migrazione” implicano una serie di interventi sulla “materia” del videotape, che procedono dall’opera-oggetto (pulitura, idrolisi, test ecc.) alla scissione dal supporto analogico attraverso all’acquisizione del segnale elettronico, per la traduzione in digitale dell’opera nella sua dimensione testuale. Si tratta di operazioni interrelate, che concernono la produzione del senso e gli effetti percettivi prefigurati dall’opera. Il saggio rileva come l’opera video possa essere “tradotta” dall’analogico al digitale nella sua interezza, ma non nella sua integrità. Il riversamento conservativo e l’archiviazione su supporto digitale, infatti, possono portare a una variazione delle proprietà estetiche e storiche dell’opera, che sono proprietà discernibili come “originarie” in quanto intenzionate dall’opera stessa e dal suo autore, nonché dal contesto culturale di riferimento. Tali operazioni introducono delle trasformazioni sulla materia che sta alla base del processo di iscrizione, di produzione e insieme di registrazione (W. Benjamin, 1936) dell’opera sul piano espressivo e del contenuto. Dove la “materia” dell’opera video è insieme l’iscrizione, il suo supporto e la sua “memoria”. La dimensione materica è non soltanto veicolo, ma sostanza (L.T. Hjelmslev, 1943; U. Eco, 1975) che si forma attraverso l’immagine. È stato inoltre rilevato che nelle attività di preservazione e restauro è importante lasciare persistere le tracce storiche dell’opera (tracce della propria linea genealogico-filologica, del medium “originario”, del linguaggio di partenza, nonché dei modi di ricezione d’epoca ecc.). Talvolta, tali tracce possono sovrapporsi e confondersi con eventuali corruzioni o errori del segnale. Si è quindi evidenziato come la trasmissione e diffusione delle copie (“testimoni”) di uno stesso videotape restituiscano un percorso generazionale che consente di studiarne le eventuali “alterazioni” in modo da poter discernere le “tracce storiche” dei modi di ricezione dalle corruzioni e ciò a partire dallo studio degli apparati di produzione/riproduzione dell’epoca. Data la base tecnologica del videotape, il suo carattere di “opera multipla” (G. Genette, 1994) concerne la relazione che vi si dispiega tra type-token (master, matrici per la duplicazione e copie) e implica la definizione degli “stati” dell’opera all’interno di un data linea genealogica. La ricostruzione del percorso di derivazione consente di tracciarne il diasistema (C. Segre, 1981) risalendo la linea generazionale sino all’assenza dell’errore riconosciuto o per stabilire se nello stesso tracciato generazionale si manifestano i medesimi “errori” (errori congiuntivi) ovvero per stabilire se le “copie” provengano da uno stesso “antigrafo” (master analogico). Il percorso generazionale, per quando possibile, consente di eliminare e/o ridurre eventuali “danni” oppure di ricostruire parti dell’opera ovvero di ricuperare le informazioni perdute. Nel complesso, il saggio mira a evidenziare il doppio problema che si pone, e le implicazioni teorico-pratiche che ne derivano, quando si tratta di operare a fini conservativi: da un lato, è necessario mantenere l’integrità documentale (artistica e/o storica; cfr. C. Brandi, 1963) dell’opera, dall'altro, è necessario agire ai fini della sua permanenza digitale (attraverso checking, refresh e migration) utilizzando tecnologie correntemente disponibili secondo modelli decisionali complessi e pratiche interdisciplinari. Rispetto ala questione delle tecnologie informatiche correnti, il saggio sottolinea che se, nella prassi comune delle istituzioni archivistiche, la prima forma di preservazione consiste nel continuo aggiornamento informatico (perpetua migrazione?) delle opere in versione digitale, allora è evidente che l’“obsolescenza” degli stessi strumenti informatici deve essere attentamente programmata. E poiché le attività di conservazione e di restauro avvengono attraverso apparati informatici è necessario conservare anche i software e le componenti hardware ovvero gli strumenti attraverso i quali sono state realizzate le pratiche di conservazione e di restauro. Per ora, si tratta di conservare da un lato il documento (l’opera digitalizzata, intermediato digitale di conservazione e le copie d’accesso), i metadati e l'informazione contestuale (nonché la costellazione transtestuale dell’opera stessa; cfr. G. Genette, 1984) e, dall’altro, il sistema informatico che ha prodotto questo documento (encapsulation).

"Introduzione. La memoria delle immagini: art/tapes/22. Restauro e 'riattualizzazione'"

SABA, Cosetta
2007-01-01

Abstract

Il saggio concerne le attività di ricerca correlate alle pratiche di preservazione e restauro digitale del fondo di videotape d’artista art/tapes/22 dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee-La Biennale di Venezia che hanno avuto corso, tra il 2004-2007, presso i Laboratori La Camera Ottica e CREA dell’Università di Udine. Il saggio si incarica di mettere in rilievo le criticità metodologiche implicate dall’uso delle strumentazioni digitali e i problemi epistemologici posti dall’informatizzazione che le attività di preservazione, conservazione e archiviazione del fondo ASAC art/tapes/22 hanno consentito di evidenziare. Far fronte al progressivo decadimento fisico-chimico dei supporti e all’obsolescenza degli apparati di visualizzazione d’epoca, ripristinare la funzionalità dell’opere finalizzandola al processo di “digitalizzazione” significa entrare nel merito di una serie di questioni epistemologiche, estetiche ed etiche che le pratiche di migrazione dall’analogico al digitale comportano. I video d’artista del fondo art/tapes/22, al momento dell’avvio delle attività di preservazione, erano opere “fuori corso” (W. Benjamin, 1928; R. Krauss, 1999) anche perché legate a supporti e a tecnologie di riproduzione divenuti obsoleti, opere che si trovavano da lungo tempo in uno stato di “invisibilità”, di non accessibilità con evidenti conseguenze sul piano della “disseminazione” culturale, della ricerca e degli studi. Nondimeno, la fragilità dei supporti, il rischio di “cancellazione” (non solo) fisica di un tale tipologia di opere e l’oblio che vi si palesa non sono risolvibili sic et simplicter attraverso la migrazione dagli archivi “video” agli archivi “digitali”. Tutt’altro. Il processo di migrazione dall’analogico al digitale fa emergere una serie complessa di questioni affatto inedite, che attengono alla storicità delle opere, al loro valore funzionale (G. Genette, 1994) e al “concetto di archivio” (J. Derrida, 1994). - Nella prima parte del saggio, si è proceduto alla ri-contestualizzazione del corpus art/tapes/22, ovvero delle pratiche video nel campo dell’arte contemporanea evidenziandone sul piano storiografico gli snodi interdisciplinari. È stato messo a fuoco, sul piano audiovisivo (in termini di “espressione” e di “contenuto”), il grado di incidenza d’uso e di pertinenza delle tecnologie utilizzate nelle pratiche videografiche o, più precisamente, nel processo “scritturale” (inscrizione) della materia elettronica (nastro magnetico) anche in ordine alla peculiare dimensione “autografica” e “allografica” (G. Genette, 1994) del videotape d’artista. Si tratta di aspetti che attengono in modo diretto - sul piano teorico e pratico - alla preservazione, al restauro e all’archiviazione digitale e che fanno emergere elementi di forte criticità rispetto alla vulgata della “immaterialità” del video e della variabilità dei formati (“media variabili” J. Ippolito, 1998; “intermediate formats” N. Bourriaud, 2009). Inoltre, si è posto a tema la matrice interdisciplinare delle pratiche videoartistiche e la correlazione tra “opera”, “evento” e “documento” che ne deriva , nonché la valenza “operale” che il documento video è suscettibile di assumere se esposto, ad esempio, in formato installativo (S. Bordini, 1995 ). Il complesso lavoro di ri-contestualizzazione (che ha preceduto l’avvio delle attività di preservazione digitale) del fondo art/tapes/22 ha anche esplicitato la funzione esercitata dall’“archivio” che lo accoglie, quale ambito di documentazione e di conservazione, ma anche di ri-programmazione culturale. Infatti, la rinnovata presenza delle opere art/tapes/22 dovrebbe consentire la disseminazione culturale del fondo (secondo corrette modalità di accesso alle opere/documento definite dal protocollo di preservazione digitale) e dovrebbe essere in grado di ri-attivare la ricerca nella direzione di una “storia plurale” dell’arte contemporanea non più costretta agli ambiti disciplinari troppo settoriali o troppo generici tracciati dalle “equidistanti” storie della video arte, del cinema e dell’arte in cui si registra l’anfibologia dei termini stretti tra la dimensione “mediale” (modalità comunicativa di mezzi espressivi) e quella “ontologica” (“essenza”, qualità estetica). - In una fase in cui a livello europeo, in assenza di protocolli sperimentati e condivisi, è stata avviata una massiccia “traduzione” degli archivi analogici al digitale (una tra le più rilevanti è 40YEARSVIDEOART.DE, ZKM, avviata da Rudolf Frieling, Wulf Herzogenrath tra il 2005 e il 2006 con lo scopo di restaurare e catalogare una selezione di video prodotti in Germania nell’arco degli ultimi quaranta anni), la seconda parte del saggio mette in rilievo come le procedure di migrazione digitale e i processi decisionali sottesi implichino interventi di “ri-mediazione” finalizzati alla diffusione delle opere quasi sempre secondo una logica di adattamento alla nuova interfaccia impiegata; logica adattiva che introduce una modificazione (più o meno sensibile) dell’opera quantomeno nelle modalità percettive. Ad esempio, l’integrità del segnale analogico e la stessa l’integrità audio-visiva dell’opera nella sua dimensione “scritturale” nel processo di digitalizzazione subiscono una sensibile ridefinizione dei caratteri di contrasto e di saturazione. Inoltre, ancorché impercettibile, si determina una perdita di informazione nei processi di compensazione e nelle attività di ricostruzione e sostituzione dei data packets. Al di là della perdita di informazione, anche quantificabile, indotta dai tipi di compressione, è lo stesso sistema di ri-mediazione ad implicare una perdita di informazione. È possibile minimizzare tale perdita, memorizzando tutta l'informazione contestuale e i metadati del documento originale. Ma se non viene mantenuta la storia della trasmissione del documento anche una sola migrazione è in grado di produrre perdita di informazione. Il saggio rileva come nel processo di migrazione in digitale, la multidimensionalità “materica” del videotape assuma una funzione fondamentale. Essa concerne, da un lato, l’involucro e il nastro magnetico che definiscono il videotape nella dimensione oggettuale, quale “opera-oggetto” che contiene, supporta, veicola e rende riproducibile l’inscrizione “scritturale” in cui essa consiste a livello sostanziale, formale e materiale. Dall’altro lato, al contempo, la “matericità” concerne la texture audiovisiva elettronica inscritta - “messa in testo” - dall’artista che definisce il videotape in quanto “opera” tout court (nei suoi aspetti autografici-allografici). È di tutta evidenza che le operazioni di “migrazione” implicano una serie di interventi sulla “materia” del videotape, che procedono dall’opera-oggetto (pulitura, idrolisi, test ecc.) alla scissione dal supporto analogico attraverso all’acquisizione del segnale elettronico, per la traduzione in digitale dell’opera nella sua dimensione testuale. Si tratta di operazioni interrelate, che concernono la produzione del senso e gli effetti percettivi prefigurati dall’opera. Il saggio rileva come l’opera video possa essere “tradotta” dall’analogico al digitale nella sua interezza, ma non nella sua integrità. Il riversamento conservativo e l’archiviazione su supporto digitale, infatti, possono portare a una variazione delle proprietà estetiche e storiche dell’opera, che sono proprietà discernibili come “originarie” in quanto intenzionate dall’opera stessa e dal suo autore, nonché dal contesto culturale di riferimento. Tali operazioni introducono delle trasformazioni sulla materia che sta alla base del processo di iscrizione, di produzione e insieme di registrazione (W. Benjamin, 1936) dell’opera sul piano espressivo e del contenuto. Dove la “materia” dell’opera video è insieme l’iscrizione, il suo supporto e la sua “memoria”. La dimensione materica è non soltanto veicolo, ma sostanza (L.T. Hjelmslev, 1943; U. Eco, 1975) che si forma attraverso l’immagine. È stato inoltre rilevato che nelle attività di preservazione e restauro è importante lasciare persistere le tracce storiche dell’opera (tracce della propria linea genealogico-filologica, del medium “originario”, del linguaggio di partenza, nonché dei modi di ricezione d’epoca ecc.). Talvolta, tali tracce possono sovrapporsi e confondersi con eventuali corruzioni o errori del segnale. Si è quindi evidenziato come la trasmissione e diffusione delle copie (“testimoni”) di uno stesso videotape restituiscano un percorso generazionale che consente di studiarne le eventuali “alterazioni” in modo da poter discernere le “tracce storiche” dei modi di ricezione dalle corruzioni e ciò a partire dallo studio degli apparati di produzione/riproduzione dell’epoca. Data la base tecnologica del videotape, il suo carattere di “opera multipla” (G. Genette, 1994) concerne la relazione che vi si dispiega tra type-token (master, matrici per la duplicazione e copie) e implica la definizione degli “stati” dell’opera all’interno di un data linea genealogica. La ricostruzione del percorso di derivazione consente di tracciarne il diasistema (C. Segre, 1981) risalendo la linea generazionale sino all’assenza dell’errore riconosciuto o per stabilire se nello stesso tracciato generazionale si manifestano i medesimi “errori” (errori congiuntivi) ovvero per stabilire se le “copie” provengano da uno stesso “antigrafo” (master analogico). Il percorso generazionale, per quando possibile, consente di eliminare e/o ridurre eventuali “danni” oppure di ricostruire parti dell’opera ovvero di ricuperare le informazioni perdute. Nel complesso, il saggio mira a evidenziare il doppio problema che si pone, e le implicazioni teorico-pratiche che ne derivano, quando si tratta di operare a fini conservativi: da un lato, è necessario mantenere l’integrità documentale (artistica e/o storica; cfr. C. Brandi, 1963) dell’opera, dall'altro, è necessario agire ai fini della sua permanenza digitale (attraverso checking, refresh e migration) utilizzando tecnologie correntemente disponibili secondo modelli decisionali complessi e pratiche interdisciplinari. Rispetto ala questione delle tecnologie informatiche correnti, il saggio sottolinea che se, nella prassi comune delle istituzioni archivistiche, la prima forma di preservazione consiste nel continuo aggiornamento informatico (perpetua migrazione?) delle opere in versione digitale, allora è evidente che l’“obsolescenza” degli stessi strumenti informatici deve essere attentamente programmata. E poiché le attività di conservazione e di restauro avvengono attraverso apparati informatici è necessario conservare anche i software e le componenti hardware ovvero gli strumenti attraverso i quali sono state realizzate le pratiche di conservazione e di restauro. Per ora, si tratta di conservare da un lato il documento (l’opera digitalizzata, intermediato digitale di conservazione e le copie d’accesso), i metadati e l'informazione contestuale (nonché la costellazione transtestuale dell’opera stessa; cfr. G. Genette, 1984) e, dall’altro, il sistema informatico che ha prodotto questo documento (encapsulation).
2007
883660918X
9788836609185
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