A livello europeo, diversamente da quanto è accaduto, per lo meno inizialmente, per le associazioni dei produttori agricoli, non è stato mai adottato un provvedimento normativo volto a disciplinare in modo orizzontale gli accordi interprofessionali. Il vuoto normativo lasciato dalla Comunità Europea in tale settore è stato colmato, da un lato, dai legislatori dei singoli Stati membri, i quali hanno talvolta operato scelte completamente differenti tra loro, dall’altro, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, la quale si è mostrata particolarmente critica nei confronti di tali fattispecie contrattuali, soprattutto laddove stabiliscano il prezzo di vendita dei prodotti cui si riferiscono, in ragione dell’incidenza esercitata da esse sulle dinamiche concorrenziali del mercato. Nel nostro Paese i due principali provvedimenti normativi di riferimento sono stati per lungo tempo la l. 20 ottobre 1978, n. 674, recante disposizioni sull’associazionismo dei produttori agricoli e la l. 16 marzo 1988, n. 88, recante norme sugli accordi interprofessionali e sui contratti di coltivazione e vendita dei prodotti agricoli. Durante la vigenza della l. n. 88 del 1988 si era, però, lamentata l’assenza di un’adeguata formula giuridica che fosse in grado di consentire alle condizioni contrattuali fissate negli accordi interprofessionali di trovare applicazione anche nei contratti di coltivazione e vendita conclusi da produttori agricoli non aderenti agli organismi stipulanti, fatta eccezione per l’ipotesi contemplata dall’art. 3 della l. n. 674 del 1978 e fatta salva la possibilità per le parti contraenti di decidere, nell’ambito della loro autonomia privata, d’imprimere al programma obbligatorio sotteso al contratto un contenuto conforme a quello degli accordi interprofessionali. L’applicazione delle regole fissate dagli accordi interprofessionali da parte e/o nei confronti di soggetti non aderenti alle associazioni stipulanti era, infatti, meramente eventuale, dipendendo dalla capacità attrattiva degli incentivi economici di cui all’art. 11 della l. n. 88 del 1988. La l. 7 marzo 2003, n. 38, recante «Disposizioni in materia di agricoltura», all’art. 1, comma 2°, lett. e), ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi volti a rivedere la normativa in materia di organizzazioni e accordi interprofessionali, contratti di coltivazione e vendita. In attuazione di tale disposizione è stato adottato il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102 recante «Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell’art. 1, comma 2°, lettera e), della legge 7 marzo 2003, n. 38». Tale decreto, all’art. 16, comma 1°, ha previsto l’abrogazione dell’intera l. n. 88 del 1988 ed è, conseguentemente, il testo normativo al quale occorre fare ora riferimento per la disciplina degli accordi d’integrazione verticale in agricoltura. Con il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102, il legislatore italiano in talune ipotesi ha imposto e consentito l’applicazione degli accordi interprofessionali oltre la cerchia degli aderenti alle organizzazioni stipulanti: ciò emerge da una serie di disposizioni presenti nel d.lgs. n. 102 del 2005, e, in particolare, dall’art. 12 di esso. L’art. 12 del d.lgs. n. 102 del 2005 offre, invero, interessanti spunti di riflessione per quanto concerne il profilo dell’efficacia ultra partes dei cc.dd. contratti quadro: pare, invero, che, tramite esso, il legislatore del 2005, muovendo da una giustificata presunzione di maggiore favorevolezza per l’imprenditore agricolo delle regole fissate dagli accordi quadro, si sia mosso nell’ottica di riconoscere e/o assicurare a esse un’efficacia ultra partes. Al perseguimento di tale obiettivo il legislatore del 2005 ha mirato non solo disponendo – conformemente alla l. n. 88 del 1988 – all’art. 14 del d.lgs. n. 102 che, nel rispetto delle norme comunitarie, la stipula di singoli contratti di coltivazione, allevamento e fornitura conformi ai contratti quadro costituisca criterio di preferenza (secondo le modalità stabilite in ciascun bando di partecipazione) per l’attribuzione di contributi statali per l’innovazione e la ristrutturazione delle imprese agricole, agroalimentari e di commercializzazione e vendita dei prodotti agricoli, ma, prevedendo, altresì, in talune ipotesi l’estensione delle condizioni fissate dagli accordi quadro anche nei confronti di soggetti non aderenti alle organizzazioni stipulanti. Tuttavia, laddove la generalizzata diffusione dei contenuti di cui ai contratti quadro sia rimessa a una libera scelta del singolo imprenditore agricolo permangono le perplessità già più volte espresse in dottrina circa l’effettiva forza contrattuale degli operatori del settore agricolo. E ciò anche se si è registrato un inasprimento delle sanzioni sotto il profilo per così dire contrattuale con riferimento all’ipotesi in cui non vengano rispettate le regole di uniformazione al contenuto degli accordi quadro.

Il d. legisl. 27 maggio 2005, n. 102 e l’attuale tendenza normativa a riconoscere efficacia ultra partes ai contratti d’integrazione verticale in agricoltura …

Bolognini, Silvia
2007-01-01

Abstract

A livello europeo, diversamente da quanto è accaduto, per lo meno inizialmente, per le associazioni dei produttori agricoli, non è stato mai adottato un provvedimento normativo volto a disciplinare in modo orizzontale gli accordi interprofessionali. Il vuoto normativo lasciato dalla Comunità Europea in tale settore è stato colmato, da un lato, dai legislatori dei singoli Stati membri, i quali hanno talvolta operato scelte completamente differenti tra loro, dall’altro, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee, la quale si è mostrata particolarmente critica nei confronti di tali fattispecie contrattuali, soprattutto laddove stabiliscano il prezzo di vendita dei prodotti cui si riferiscono, in ragione dell’incidenza esercitata da esse sulle dinamiche concorrenziali del mercato. Nel nostro Paese i due principali provvedimenti normativi di riferimento sono stati per lungo tempo la l. 20 ottobre 1978, n. 674, recante disposizioni sull’associazionismo dei produttori agricoli e la l. 16 marzo 1988, n. 88, recante norme sugli accordi interprofessionali e sui contratti di coltivazione e vendita dei prodotti agricoli. Durante la vigenza della l. n. 88 del 1988 si era, però, lamentata l’assenza di un’adeguata formula giuridica che fosse in grado di consentire alle condizioni contrattuali fissate negli accordi interprofessionali di trovare applicazione anche nei contratti di coltivazione e vendita conclusi da produttori agricoli non aderenti agli organismi stipulanti, fatta eccezione per l’ipotesi contemplata dall’art. 3 della l. n. 674 del 1978 e fatta salva la possibilità per le parti contraenti di decidere, nell’ambito della loro autonomia privata, d’imprimere al programma obbligatorio sotteso al contratto un contenuto conforme a quello degli accordi interprofessionali. L’applicazione delle regole fissate dagli accordi interprofessionali da parte e/o nei confronti di soggetti non aderenti alle associazioni stipulanti era, infatti, meramente eventuale, dipendendo dalla capacità attrattiva degli incentivi economici di cui all’art. 11 della l. n. 88 del 1988. La l. 7 marzo 2003, n. 38, recante «Disposizioni in materia di agricoltura», all’art. 1, comma 2°, lett. e), ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi volti a rivedere la normativa in materia di organizzazioni e accordi interprofessionali, contratti di coltivazione e vendita. In attuazione di tale disposizione è stato adottato il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102 recante «Regolazioni dei mercati agroalimentari, a norma dell’art. 1, comma 2°, lettera e), della legge 7 marzo 2003, n. 38». Tale decreto, all’art. 16, comma 1°, ha previsto l’abrogazione dell’intera l. n. 88 del 1988 ed è, conseguentemente, il testo normativo al quale occorre fare ora riferimento per la disciplina degli accordi d’integrazione verticale in agricoltura. Con il d.lgs. 27 maggio 2005, n. 102, il legislatore italiano in talune ipotesi ha imposto e consentito l’applicazione degli accordi interprofessionali oltre la cerchia degli aderenti alle organizzazioni stipulanti: ciò emerge da una serie di disposizioni presenti nel d.lgs. n. 102 del 2005, e, in particolare, dall’art. 12 di esso. L’art. 12 del d.lgs. n. 102 del 2005 offre, invero, interessanti spunti di riflessione per quanto concerne il profilo dell’efficacia ultra partes dei cc.dd. contratti quadro: pare, invero, che, tramite esso, il legislatore del 2005, muovendo da una giustificata presunzione di maggiore favorevolezza per l’imprenditore agricolo delle regole fissate dagli accordi quadro, si sia mosso nell’ottica di riconoscere e/o assicurare a esse un’efficacia ultra partes. Al perseguimento di tale obiettivo il legislatore del 2005 ha mirato non solo disponendo – conformemente alla l. n. 88 del 1988 – all’art. 14 del d.lgs. n. 102 che, nel rispetto delle norme comunitarie, la stipula di singoli contratti di coltivazione, allevamento e fornitura conformi ai contratti quadro costituisca criterio di preferenza (secondo le modalità stabilite in ciascun bando di partecipazione) per l’attribuzione di contributi statali per l’innovazione e la ristrutturazione delle imprese agricole, agroalimentari e di commercializzazione e vendita dei prodotti agricoli, ma, prevedendo, altresì, in talune ipotesi l’estensione delle condizioni fissate dagli accordi quadro anche nei confronti di soggetti non aderenti alle organizzazioni stipulanti. Tuttavia, laddove la generalizzata diffusione dei contenuti di cui ai contratti quadro sia rimessa a una libera scelta del singolo imprenditore agricolo permangono le perplessità già più volte espresse in dottrina circa l’effettiva forza contrattuale degli operatori del settore agricolo. E ciò anche se si è registrato un inasprimento delle sanzioni sotto il profilo per così dire contrattuale con riferimento all’ipotesi in cui non vengano rispettate le regole di uniformazione al contenuto degli accordi quadro.
2007
8814135703
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