L'articolo prende in esame lo status che le testimonianze degli ex deportati nei campi di concentramento hanno avuto nell'ambito della storia letteraria. Il recente interesse della storia letteraria per le testimonianze dai lager è stato determinato da almeno due motivi: uno di natura storico-politica, l'altro di natura teorico-letteraria. Nella storia intellettuale dell'Occidente, la memoria dello sterminio nazista ha attraversato le fasi della memoria collettiva definite da Ricoeur (Traverso, 2004: 232): dopo l'evento traumatico è seguita la fase della rimozione negli anni Cinquanta; a partire dagli anni Sessanta ha avuto inizio l'anamnesi o il ritorno del rimosso, il quale ha portato a una vera e propria ossessione della memoria negli anni Novanta, soprannominati »l'età del testimone« (Wieviorka, 1999). Il motivo teorico-letterario riguarda invece il cambiamento dello status dell'autobiografia (che da semplice e restrittivo genere letterario è diventata una caratteristica del discorso tout court) nel pensiero poststrutturalista, quindi in contemporanea con il sopracitato risveglio dell'interesse per il tema dello sterminio nell'ambiente accademico e popolare. Con l'intento di esaminare le caratteristiche linguistiche e strutturali che avvicinano le testimonianze alla letteratura, l'articolo riprende la divisione tipologica fra la poesia traumatica e il realismo traumatico, constatando: primo, la differenza di queste tipologie riguardanti le testimonianze dalle categorie puramente letterarie a loro analoghe (per es., il romanzo neorealista si differenzia sostanzialmente dalle testimonianze con l'intento realistico) e secondo, l'asincronia fra le testimonianze che portano certe caratteristiche stilistico-letterarie e le rispettive tappe nella storia della letteratura (i procedimenti modernistici nei racconti sui lager per esempio non coincidono sempre con le analoghe tendenze nella letteratura). L'ultima parte dell'articolo propone la riflessione sull'inconciliabilità fra la violenza e la cultura, questione ontologica che sembra essere stata decisiva per la tarda ammissione delle testimonianze nel campo dell'interesse della critica letteraria. Come può la letteratura prendere in considerazione le testimonianze sulle esperienze traumatiche, se sono state proprio queste esperienze a mettere in questione il senso della letteratura e della cultura in genere? L'interrogativo posto da molti intellettuali che hanno pensato la Shoah, da Adorno a Levi e Améry, riecheggia in modo curioso negli appunti dal carcere di uno dei maggiori critici letterari croati del Novecento, Antun Barac. Inoltre, l'interrogativo sul rapporto fra le testimonianze e il canone letterario, oppure sulle questionabili potenzialità pedagogiche della catastrofe, oltre che nel lavoro fondamentale di Shoshana Felman e Dori Laub (1992), è riproposto anche nel film The Reader (Stephen Daldry) tratto dal romanzo di Bernhard Schlink. Sembra comunque che le testimonianze negli anni Novanta abbiano finalmente trovato il loro posto nell'ambito della critica letteraria, permettendo a questa disciplina di partecipare all'età del testimone accanto alla psicanalisi, storiografia, etnologia e molte altre.

Vrijeme traume, vrijeme svjedocenja. Testimonijalna literatura i književni kanon tijekom dvadesetog stoljeca

BADURINA, Natka
2010-01-01

Abstract

L'articolo prende in esame lo status che le testimonianze degli ex deportati nei campi di concentramento hanno avuto nell'ambito della storia letteraria. Il recente interesse della storia letteraria per le testimonianze dai lager è stato determinato da almeno due motivi: uno di natura storico-politica, l'altro di natura teorico-letteraria. Nella storia intellettuale dell'Occidente, la memoria dello sterminio nazista ha attraversato le fasi della memoria collettiva definite da Ricoeur (Traverso, 2004: 232): dopo l'evento traumatico è seguita la fase della rimozione negli anni Cinquanta; a partire dagli anni Sessanta ha avuto inizio l'anamnesi o il ritorno del rimosso, il quale ha portato a una vera e propria ossessione della memoria negli anni Novanta, soprannominati »l'età del testimone« (Wieviorka, 1999). Il motivo teorico-letterario riguarda invece il cambiamento dello status dell'autobiografia (che da semplice e restrittivo genere letterario è diventata una caratteristica del discorso tout court) nel pensiero poststrutturalista, quindi in contemporanea con il sopracitato risveglio dell'interesse per il tema dello sterminio nell'ambiente accademico e popolare. Con l'intento di esaminare le caratteristiche linguistiche e strutturali che avvicinano le testimonianze alla letteratura, l'articolo riprende la divisione tipologica fra la poesia traumatica e il realismo traumatico, constatando: primo, la differenza di queste tipologie riguardanti le testimonianze dalle categorie puramente letterarie a loro analoghe (per es., il romanzo neorealista si differenzia sostanzialmente dalle testimonianze con l'intento realistico) e secondo, l'asincronia fra le testimonianze che portano certe caratteristiche stilistico-letterarie e le rispettive tappe nella storia della letteratura (i procedimenti modernistici nei racconti sui lager per esempio non coincidono sempre con le analoghe tendenze nella letteratura). L'ultima parte dell'articolo propone la riflessione sull'inconciliabilità fra la violenza e la cultura, questione ontologica che sembra essere stata decisiva per la tarda ammissione delle testimonianze nel campo dell'interesse della critica letteraria. Come può la letteratura prendere in considerazione le testimonianze sulle esperienze traumatiche, se sono state proprio queste esperienze a mettere in questione il senso della letteratura e della cultura in genere? L'interrogativo posto da molti intellettuali che hanno pensato la Shoah, da Adorno a Levi e Améry, riecheggia in modo curioso negli appunti dal carcere di uno dei maggiori critici letterari croati del Novecento, Antun Barac. Inoltre, l'interrogativo sul rapporto fra le testimonianze e il canone letterario, oppure sulle questionabili potenzialità pedagogiche della catastrofe, oltre che nel lavoro fondamentale di Shoshana Felman e Dori Laub (1992), è riproposto anche nel film The Reader (Stephen Daldry) tratto dal romanzo di Bernhard Schlink. Sembra comunque che le testimonianze negli anni Novanta abbiano finalmente trovato il loro posto nell'ambito della critica letteraria, permettendo a questa disciplina di partecipare all'età del testimone accanto alla psicanalisi, storiografia, etnologia e molte altre.
2010
9789531633444
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