L’intento di questo scritto non è tanto quello di raccontare i motivi del successo della ricostruzione post-terremoto del Friuli, cosa che è già stata fatta, anche di recente, da diversi studiosi ed anche da chi scrive (Nimis, 2009, Fabbro 2010) quanto quello di capire se, e dove, quell’esito rappresenti un contributo stabile e duraturo ad una più vasta scienza del territorio, nonostante gli inevitabili cambiamenti di contesto. Infatti, anche a prescindere dai modelli strutturali specifici e dalla maggiore o minore validità etica ed epistemica degli stessi, nel caso di una ricostruzione ci misuriamo con un processo complesso, dai profondi significati simbolici e culturali e che attraversa e mette in tensione fortissima non solo le istituzioni e le logiche del potere politico ma anche tutte le relazioni spazio-temporali che connotano un determinato ambiente umano. Da questo punto di vista le ricostruzioni sono anche laboratori di grande rilevanza per la verifica della validità ed appropriatezza dei nostri modelli di pensiero e di azione nel territorio. In Italia, negli ultimi cinquant’anni, le ricostruzioni post-disastro si sono confrontate con le strutture insediative e territoriali da diversi punti di vista spesso anche alternativi. Ma tutto quanto si è prodotto e si è appreso, in Italia, dal terremoto del Friuli in poi, nelle esperienze di ricostruzione, sembra oggi rimesso in discussione dall’intervento post-terremoto dell’Aquila. Oggi, nel caso abruzzese, è sembrata prevalere, almeno nel primo anno dopo il disastro, una forte elaborazione politico-mediatica dell’evento che ha portato anche ad un corto circuito spazio-temporale, con una connessa interpretazione del territorio, che mette in discussione le esperienze positive precedenti ed in particolare quella del Friuli. Questo intervento ha lo scopo di rendere più chiari ed espliciti i riferimenti di fondo delle esperienze di cui stiamo discutendo.

La ricostruzione del Friuli a confronto con gli interventi post-terremoto a L'Aquila

FABBRO, Sandro
2012-01-01

Abstract

L’intento di questo scritto non è tanto quello di raccontare i motivi del successo della ricostruzione post-terremoto del Friuli, cosa che è già stata fatta, anche di recente, da diversi studiosi ed anche da chi scrive (Nimis, 2009, Fabbro 2010) quanto quello di capire se, e dove, quell’esito rappresenti un contributo stabile e duraturo ad una più vasta scienza del territorio, nonostante gli inevitabili cambiamenti di contesto. Infatti, anche a prescindere dai modelli strutturali specifici e dalla maggiore o minore validità etica ed epistemica degli stessi, nel caso di una ricostruzione ci misuriamo con un processo complesso, dai profondi significati simbolici e culturali e che attraversa e mette in tensione fortissima non solo le istituzioni e le logiche del potere politico ma anche tutte le relazioni spazio-temporali che connotano un determinato ambiente umano. Da questo punto di vista le ricostruzioni sono anche laboratori di grande rilevanza per la verifica della validità ed appropriatezza dei nostri modelli di pensiero e di azione nel territorio. In Italia, negli ultimi cinquant’anni, le ricostruzioni post-disastro si sono confrontate con le strutture insediative e territoriali da diversi punti di vista spesso anche alternativi. Ma tutto quanto si è prodotto e si è appreso, in Italia, dal terremoto del Friuli in poi, nelle esperienze di ricostruzione, sembra oggi rimesso in discussione dall’intervento post-terremoto dell’Aquila. Oggi, nel caso abruzzese, è sembrata prevalere, almeno nel primo anno dopo il disastro, una forte elaborazione politico-mediatica dell’evento che ha portato anche ad un corto circuito spazio-temporale, con una connessa interpretazione del territorio, che mette in discussione le esperienze positive precedenti ed in particolare quella del Friuli. Questo intervento ha lo scopo di rendere più chiari ed espliciti i riferimenti di fondo delle esperienze di cui stiamo discutendo.
2012
9788849524062
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