Interrogato da Mario Verdone al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma sulla funzione della musica nel proprio cinema, Michelangelo Antonioni aveva risposto con molto humour invitando Giovanni Fusco ad uscire dalla sala, perché forse gli sarebbe dispiaciuto ascoltare quello che egli avrebbe detto. Il regista, infatti, più volte ha dichiarato di non amare la musica per film muovendo delle critiche all’utilizzo del commento sonoro da parte del cinema italiano a lui coevo e di quello americano in genere. In realtà, nel cinema di Antonioni la musica si pone come presenza di grande interesse, a partire dai documentari fino a giungere agli ultimi film. È però una «musica realistica», come la definisce significativamente lo stesso regista, che utilizza anche i rumori e la musica elettronica, lontana dagli stereotipi che allora imperversavano nel cinema italiano e che riducevano la sua funzione ad un banale e scontato accompagnamento allo scorrimento delle immagini. Questo volume attraversa l’universo sonoro della filmografia antonioniana a partire dalla collaborazione con Giovanni Fusco, vero e proprio alter-ego musicale del regista, che ha portato ai risultati straordinari di "Cronaca di un amore", "L’avventura" e "L’eclisse"; un seguito di film in cui il nuovo manifesto di poetica è già dichiarato. Ecco allora i suoni astratti, le cadenze e le melodie sospese, i percorsi melodici frammentari e i lunghi silenzi che rendono questa musica “oggettiva”, privata di qualsiasi forza persuasiva e di ogni strumento della normale retorica per essere invece arricchita da ogni genere di rumore ambientale. Dopo l’esperienza di "Deserto rosso", affidato alla musica elettronica di Gelmetti, con "Blow-up" Antonioni abbandona definitivamente la musica cinematografica d’impianto tradizionale e si serve della musica del consumo giovanile di quegli anni, spaziando da Harbie Hancock ai Pink Floyd per giungere a Lucio Dalla. Rimane sempre la costante attenzione nei confronti del rumore, la «miglior musica cinematografica», autentico tratto distintivo del suo cinema.
Antonioni e la musica
CALABRETTO, Roberto
2012-01-01
Abstract
Interrogato da Mario Verdone al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma sulla funzione della musica nel proprio cinema, Michelangelo Antonioni aveva risposto con molto humour invitando Giovanni Fusco ad uscire dalla sala, perché forse gli sarebbe dispiaciuto ascoltare quello che egli avrebbe detto. Il regista, infatti, più volte ha dichiarato di non amare la musica per film muovendo delle critiche all’utilizzo del commento sonoro da parte del cinema italiano a lui coevo e di quello americano in genere. In realtà, nel cinema di Antonioni la musica si pone come presenza di grande interesse, a partire dai documentari fino a giungere agli ultimi film. È però una «musica realistica», come la definisce significativamente lo stesso regista, che utilizza anche i rumori e la musica elettronica, lontana dagli stereotipi che allora imperversavano nel cinema italiano e che riducevano la sua funzione ad un banale e scontato accompagnamento allo scorrimento delle immagini. Questo volume attraversa l’universo sonoro della filmografia antonioniana a partire dalla collaborazione con Giovanni Fusco, vero e proprio alter-ego musicale del regista, che ha portato ai risultati straordinari di "Cronaca di un amore", "L’avventura" e "L’eclisse"; un seguito di film in cui il nuovo manifesto di poetica è già dichiarato. Ecco allora i suoni astratti, le cadenze e le melodie sospese, i percorsi melodici frammentari e i lunghi silenzi che rendono questa musica “oggettiva”, privata di qualsiasi forza persuasiva e di ogni strumento della normale retorica per essere invece arricchita da ogni genere di rumore ambientale. Dopo l’esperienza di "Deserto rosso", affidato alla musica elettronica di Gelmetti, con "Blow-up" Antonioni abbandona definitivamente la musica cinematografica d’impianto tradizionale e si serve della musica del consumo giovanile di quegli anni, spaziando da Harbie Hancock ai Pink Floyd per giungere a Lucio Dalla. Rimane sempre la costante attenzione nei confronti del rumore, la «miglior musica cinematografica», autentico tratto distintivo del suo cinema.File | Dimensione | Formato | |
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