IVO FRANGEŠ E LA CRITICA LETTERARIA ITALIANA L'articolo prende in esame il rapporto di Ivo Frangeš con la critica letteraria italiana, in particolare durante gli anni Cinquanta e Sessanta, rispetto al contesto della critica letteraria croata e delle sue esigenze storiche di quegli stessi anni (la Scuola di stilistica zagabrese). Il contatto di Frangeš con la critica stilistica è avvenuto tramite le traduzioni italiane di Leo Spitzer, e attraverso i suoi interpreti e critici italiani. Nella principale obiezione di Frangeš alla critica stilistica, il cui diffetto starebbe nella mancanza di una visione storica e complessiva nell'interpretazione dell'opera letteraria, si scorgono numerosi tratti argomentativi vicini a Cesare Cases. La ricerca di Frangeš di una „linea democratica“ della letteratura italiana, e la sua esplicita preferenza per i „poeti“ rispetto agli „artisti“ nella raccolta di saggi Talijanske teme (1967), possono essere intesi non solo come segni di una lettura antiestetica di De Sanctis, ma anche come possibili tracce di una ricezione (diretta o indiretta) del concetto gramsciano della letteratura nazional-popolare. Infine, per il noto sviluppo del metodo interpretativo di Frangeš verso l'unione fra la stilistica e lo storicismo, l'autrice di questo articolo considera fondamentale l'attenta lettura che Frangeš ha dedicato a Giacomo Devoto. Il concetto devotiano di lingua-istituto permette la comprensione del condizionamento collettivo delle scelte individuali, e apre la strada interpretativa dalla lingua alla società: la politica nella letteratura non deve più essere vista come uno sparo in mezzo a un concerto, ma è, al contrario, contenuta nella stessa partitura (lingua collettiva) in base alla quale lo scrittore esegue la sua opera. Tale approccio ha trovato la sua migliore applicazione nell'interpretazione di Frangeš dell'epistola Hrvati Mađarom di Ivan Mažuranić. Nell'idea devotiana dell'intersecarsi della lingua con altri istituti (diritto, economia, religione, politica) in un'unica e dinamica rete di poteri, come pure in alcune argomentazioni dei rappresentanti della critica stilistica a proposito del condizionamento colletivo dell'espressione individuale (per esempio, l'idea di Spitzer sugli schemi ideologici ai quali si può risalire partendo dai sintomi linguistici individuali), si può riconoscere la strada che porterà al concetto del discorso nel poststrutturalismo. Da ciò si può concludere che Frangeš, spinto ovviamente dai suoi condizionamenti storici, aveva scelto dalla critica stilistica proprio quei suoi aspetti che verso la fine del ventesimo secolo, nelle scuole di nuovo storicismo e del materialismo culturale, si sarebbero mostrate le più fruttuose per l'interpretazione dell'opera letteraria.

Ivo Frangeš i talijanska književna kritika

BADURINA, Natka
2013-01-01

Abstract

IVO FRANGEŠ E LA CRITICA LETTERARIA ITALIANA L'articolo prende in esame il rapporto di Ivo Frangeš con la critica letteraria italiana, in particolare durante gli anni Cinquanta e Sessanta, rispetto al contesto della critica letteraria croata e delle sue esigenze storiche di quegli stessi anni (la Scuola di stilistica zagabrese). Il contatto di Frangeš con la critica stilistica è avvenuto tramite le traduzioni italiane di Leo Spitzer, e attraverso i suoi interpreti e critici italiani. Nella principale obiezione di Frangeš alla critica stilistica, il cui diffetto starebbe nella mancanza di una visione storica e complessiva nell'interpretazione dell'opera letteraria, si scorgono numerosi tratti argomentativi vicini a Cesare Cases. La ricerca di Frangeš di una „linea democratica“ della letteratura italiana, e la sua esplicita preferenza per i „poeti“ rispetto agli „artisti“ nella raccolta di saggi Talijanske teme (1967), possono essere intesi non solo come segni di una lettura antiestetica di De Sanctis, ma anche come possibili tracce di una ricezione (diretta o indiretta) del concetto gramsciano della letteratura nazional-popolare. Infine, per il noto sviluppo del metodo interpretativo di Frangeš verso l'unione fra la stilistica e lo storicismo, l'autrice di questo articolo considera fondamentale l'attenta lettura che Frangeš ha dedicato a Giacomo Devoto. Il concetto devotiano di lingua-istituto permette la comprensione del condizionamento collettivo delle scelte individuali, e apre la strada interpretativa dalla lingua alla società: la politica nella letteratura non deve più essere vista come uno sparo in mezzo a un concerto, ma è, al contrario, contenuta nella stessa partitura (lingua collettiva) in base alla quale lo scrittore esegue la sua opera. Tale approccio ha trovato la sua migliore applicazione nell'interpretazione di Frangeš dell'epistola Hrvati Mađarom di Ivan Mažuranić. Nell'idea devotiana dell'intersecarsi della lingua con altri istituti (diritto, economia, religione, politica) in un'unica e dinamica rete di poteri, come pure in alcune argomentazioni dei rappresentanti della critica stilistica a proposito del condizionamento colletivo dell'espressione individuale (per esempio, l'idea di Spitzer sugli schemi ideologici ai quali si può risalire partendo dai sintomi linguistici individuali), si può riconoscere la strada che porterà al concetto del discorso nel poststrutturalismo. Da ciò si può concludere che Frangeš, spinto ovviamente dai suoi condizionamenti storici, aveva scelto dalla critica stilistica proprio quei suoi aspetti che verso la fine del ventesimo secolo, nelle scuole di nuovo storicismo e del materialismo culturale, si sarebbero mostrate le più fruttuose per l'interpretazione dell'opera letteraria.
2013
9789537823160
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