La scrittura dannunziana, densa, stratificata e multisona, consente e sollecita accertamenti vòlti a cogliere le sue relazioni intertestuali, secondo la poetica dell’autore, cioè l’uso, nell’inventio, di prendere il la da un testo altrui, antico o moderno, come se non vi fossero esigenze creative senza un precedente oggetto testuale. Ed è ciò che si fa nei saggi raccolti in questo volume, in cui si considerano testi inerenti a due momenti significativi del gusto e dell’opera dannunziani, dichiarati dai titoli delle due sezioni del libro, Bisanzio (allusivo all’estetismo decadente) e Roma (al classicismo, ripensato dall’autore a metà degli anni Novanta dopo il viaggio in Grecia). Ecco allora, nella prima sezione, discutere i rapporti genetici di Andrea Sperelli con Des Esseintes, il Grande Esteta, al cui confronto, a conti fatti, il nostrano Uomo di Lusso risulta ben poco «à rebours»; quello Sperelli che appare inerme strumento di piacere di una donna dotata di tutti i requisiti paradigmatici della donna fatale, Elena Muti. E il procedimento di costruzione, anche verbale, della femme fatale «sintetica» lo si può verificare in altre figure, di seconda linea, del molteplice novero delle seduttrici dannunziane. Locus amoenus per chi si diletta a ri-ascoltare, a godere dell’agnizione del modello, a gustare la qualità emulativa del testo nuovo, è impareggiabilmente Alcyone, su cui verte la seconda sezione del libro. L’Arcadia che vi si agogna deve non poco al Virgilio minore, configurandosi il terzo libro delle Laudi come una sorta di carmen bucolicum, e le diffuse reminiscenze del poeta antico disciolte nella nuova tessitura fantastica confermano inoltre quanto valga la letteratura ad inverare la natura.

Da Bisanzio a Roma. Studi su Gabriele D'Annunzio

CALIARO, Ilvano
2004-01-01

Abstract

La scrittura dannunziana, densa, stratificata e multisona, consente e sollecita accertamenti vòlti a cogliere le sue relazioni intertestuali, secondo la poetica dell’autore, cioè l’uso, nell’inventio, di prendere il la da un testo altrui, antico o moderno, come se non vi fossero esigenze creative senza un precedente oggetto testuale. Ed è ciò che si fa nei saggi raccolti in questo volume, in cui si considerano testi inerenti a due momenti significativi del gusto e dell’opera dannunziani, dichiarati dai titoli delle due sezioni del libro, Bisanzio (allusivo all’estetismo decadente) e Roma (al classicismo, ripensato dall’autore a metà degli anni Novanta dopo il viaggio in Grecia). Ecco allora, nella prima sezione, discutere i rapporti genetici di Andrea Sperelli con Des Esseintes, il Grande Esteta, al cui confronto, a conti fatti, il nostrano Uomo di Lusso risulta ben poco «à rebours»; quello Sperelli che appare inerme strumento di piacere di una donna dotata di tutti i requisiti paradigmatici della donna fatale, Elena Muti. E il procedimento di costruzione, anche verbale, della femme fatale «sintetica» lo si può verificare in altre figure, di seconda linea, del molteplice novero delle seduttrici dannunziane. Locus amoenus per chi si diletta a ri-ascoltare, a godere dell’agnizione del modello, a gustare la qualità emulativa del testo nuovo, è impareggiabilmente Alcyone, su cui verte la seconda sezione del libro. L’Arcadia che vi si agogna deve non poco al Virgilio minore, configurandosi il terzo libro delle Laudi come una sorta di carmen bucolicum, e le diffuse reminiscenze del poeta antico disciolte nella nuova tessitura fantastica confermano inoltre quanto valga la letteratura ad inverare la natura.
2004
88-87082-29-4
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