Oggetto di questo saggio è la presenza della voce nel cinema di Federico Fellini, prendendo in esame i seguenti film: Il Casanova di Federico Fellini, E la nave va. Come ha ben sottolineato Michel Chion, nei film del regista italiano i personaggi non parlano come le persone qualsiasi e le loro voci «non aderiscono ai [loro] corpi se non in forma estremamente vaga e libera sia nello spazio che nel tempo». Anche Andrea Zanzotto, Zanzotto, che ha partecipato all’allestimento delle prime due pellicole prestando alcuni suoi versi alle loro sceneggiature, ha ben descritto questa caratteristica del cinema felliniano in un suo intervento apparso in Positif. Qui il poeta ha scritto: «Fellini a rapporté toute entreprise du son et de la voix à sa propre gémellité avec le plasma lumineux, le flux engorgé, faiblement narratif (mais cependant toujours ‘narratologique’) de ses films. Quelque type de voix, dialogue, commentaire que nous rencontrons est également ressenti par le cinéaste comme violemment physique; et ce sont des voix-viscères, ventriloquies, mouvements musculaires et nerveux». Proprio a partire da queste illuminanti parole intende svilupparsi la nostra riflessione. Nel cinema di Fellini, e proprio nei tre film che prenderemo in esame, i personaggi non parlano come le persone qualsiasi: non è teatro filmato. Le voci dei suoi protagonisti sono sfasate rispetto al corpo (nel senso di fuori-sincrono, ma anche di fuori-luogo: eccedenti, degenerate, barocche) come accade in Casanova in cui la voce del protagonista sembra essere una maschera che non aderisce al suo volto e, soprattutto, nei due “Cori” di E la nave va in cui i versi di Giuseppe Verdi e Gioachino Rossini sono intonati in modo grottesco e in asincrono dai cantanti. Proprio in questo scarto si introduce la parola poetica di Zanzotto che diviene, a sua volta, mitopoietica. Le diglossie e il “linguaggio petèl” del dialetto veneto di Zanzotto si traducono nei fescennini veneziani, dissacranti e apotropaici della cerimonia d’apertura del Casanova (in questo caso creano un fuoricampo sonoro talmente potente da sovrapporsi al tripudio dei fuochi d’artificio); diventano poi la filastrocca che pervade lo spazio intorno alla tinozza della gigantessa e i suoi nani; diventano anche la ripresa semiseria di Verdi in E la nave va. Un film, quest’ultimo, che inneggia a una grande Voce, quella di Edmea Tetua (alias Maria Callas) ricordata e inseguita con rimpianto appassionato, un suono che è andato perduto per sempre, distrutto nel nulla costantemente evocato dal verso: “Do-ve-sei?”. Una voce femminile, come quelle di Giulietta degli spiriti, La città delle donne oppure quelle delle contadine di 8 e ½. Tutte donne, perché, come Zanzotto rivela nella sua lettura di La città delle donne un film è, prima di tutto, un’opera sul cinema, è metalinguaggio: il cinema, il cinema di Fellini, come una donna, seducendo rivela.

Les voix dans le “grand chaudron” du cinéma de Federico Fellini

CALABRETTO, Roberto
2014-01-01

Abstract

Oggetto di questo saggio è la presenza della voce nel cinema di Federico Fellini, prendendo in esame i seguenti film: Il Casanova di Federico Fellini, E la nave va. Come ha ben sottolineato Michel Chion, nei film del regista italiano i personaggi non parlano come le persone qualsiasi e le loro voci «non aderiscono ai [loro] corpi se non in forma estremamente vaga e libera sia nello spazio che nel tempo». Anche Andrea Zanzotto, Zanzotto, che ha partecipato all’allestimento delle prime due pellicole prestando alcuni suoi versi alle loro sceneggiature, ha ben descritto questa caratteristica del cinema felliniano in un suo intervento apparso in Positif. Qui il poeta ha scritto: «Fellini a rapporté toute entreprise du son et de la voix à sa propre gémellité avec le plasma lumineux, le flux engorgé, faiblement narratif (mais cependant toujours ‘narratologique’) de ses films. Quelque type de voix, dialogue, commentaire que nous rencontrons est également ressenti par le cinéaste comme violemment physique; et ce sont des voix-viscères, ventriloquies, mouvements musculaires et nerveux». Proprio a partire da queste illuminanti parole intende svilupparsi la nostra riflessione. Nel cinema di Fellini, e proprio nei tre film che prenderemo in esame, i personaggi non parlano come le persone qualsiasi: non è teatro filmato. Le voci dei suoi protagonisti sono sfasate rispetto al corpo (nel senso di fuori-sincrono, ma anche di fuori-luogo: eccedenti, degenerate, barocche) come accade in Casanova in cui la voce del protagonista sembra essere una maschera che non aderisce al suo volto e, soprattutto, nei due “Cori” di E la nave va in cui i versi di Giuseppe Verdi e Gioachino Rossini sono intonati in modo grottesco e in asincrono dai cantanti. Proprio in questo scarto si introduce la parola poetica di Zanzotto che diviene, a sua volta, mitopoietica. Le diglossie e il “linguaggio petèl” del dialetto veneto di Zanzotto si traducono nei fescennini veneziani, dissacranti e apotropaici della cerimonia d’apertura del Casanova (in questo caso creano un fuoricampo sonoro talmente potente da sovrapporsi al tripudio dei fuochi d’artificio); diventano poi la filastrocca che pervade lo spazio intorno alla tinozza della gigantessa e i suoi nani; diventano anche la ripresa semiseria di Verdi in E la nave va. Un film, quest’ultimo, che inneggia a una grande Voce, quella di Edmea Tetua (alias Maria Callas) ricordata e inseguita con rimpianto appassionato, un suono che è andato perduto per sempre, distrutto nel nulla costantemente evocato dal verso: “Do-ve-sei?”. Una voce femminile, come quelle di Giulietta degli spiriti, La città delle donne oppure quelle delle contadine di 8 e ½. Tutte donne, perché, come Zanzotto rivela nella sua lettura di La città delle donne un film è, prima di tutto, un’opera sul cinema, è metalinguaggio: il cinema, il cinema di Fellini, come una donna, seducendo rivela.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11390/1072562
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