Ildebrando Pizzetti, tra i compositori della “generazione dell’Ottanta”, è senza dubbio quello che ha partecipato più attivamente a questa impresa, scrivendo le partiture per ben quattro film: Cabiria di Piero Fosco (1914), Scipione l’Africano di Carmine Gallone (1937), I Promessi Sposi di Alberto Lattuada (1941) e Il Mulino del Po di Mario Camerini (1948-49). Nel corso della propria esistenza, Pizzetti è stato più volte ‘tentato’ dal cinema. In maniera analoga ad altri suoi colleghi, in particolar modo ai compositori della Generazione dell’Ottanta, anch’egli ha manifestato atteggiamenti contraddittori, passando da entusiasmi a profonde delusioni. Da un lato, il rifiuto a considerare il cinema come un’arte; dall’altro, la ferma convinzione dell’inessenzialità della musica al suo interno («Che bisogno c’è della musica? La gente va al cinema per vedere dei bravi attori, per assistere a una vicenda che la interessi. La musica non soltanto non giova al film, ma lo danneggia»), sono state le ragioni che hanno compromesso un’avventura molto tormentata e, forse, protrattasi troppo a lungo nel tempo. Un’avventura conclusasi con un rinnegamento radicale e convinto di tutto quanto egli aveva composto a commento delle immagini di pellicole, peraltro, note e che sicuramente occupano una posizione di rilievo nella storia del cinema italiano.

Tra equivoci e ripensamenti: Ildebrando Pizzetti e il cinema (I)

CALABRETTO, Roberto
2016-01-01

Abstract

Ildebrando Pizzetti, tra i compositori della “generazione dell’Ottanta”, è senza dubbio quello che ha partecipato più attivamente a questa impresa, scrivendo le partiture per ben quattro film: Cabiria di Piero Fosco (1914), Scipione l’Africano di Carmine Gallone (1937), I Promessi Sposi di Alberto Lattuada (1941) e Il Mulino del Po di Mario Camerini (1948-49). Nel corso della propria esistenza, Pizzetti è stato più volte ‘tentato’ dal cinema. In maniera analoga ad altri suoi colleghi, in particolar modo ai compositori della Generazione dell’Ottanta, anch’egli ha manifestato atteggiamenti contraddittori, passando da entusiasmi a profonde delusioni. Da un lato, il rifiuto a considerare il cinema come un’arte; dall’altro, la ferma convinzione dell’inessenzialità della musica al suo interno («Che bisogno c’è della musica? La gente va al cinema per vedere dei bravi attori, per assistere a una vicenda che la interessi. La musica non soltanto non giova al film, ma lo danneggia»), sono state le ragioni che hanno compromesso un’avventura molto tormentata e, forse, protrattasi troppo a lungo nel tempo. Un’avventura conclusasi con un rinnegamento radicale e convinto di tutto quanto egli aveva composto a commento delle immagini di pellicole, peraltro, note e che sicuramente occupano una posizione di rilievo nella storia del cinema italiano.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11390/1082976
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