L’uso del friulano da parte del clero nella divulgazione della dottrina cristiana è testimoniato da una considerevole quantità di prediche diffuse in quasi tutto il Friuli. Ad esse si affiancano i libretti di preghiere e i catechismi copiati a mano e, in seguito, gli esemplari a stampa. Verso la metà dell’Ottocento, nel momento in cui si esaurisce la tradizione scritta popolare dei libretti di preghiere in volgare, emerge un filone più controllato sul piano dell’ortodossia e caratterizzato da ufficialità: è una lenta azione di riforma dei testi, riconducibile, secondo alcuni, al Concilio di Trento. Tale tradizione è alimentata anche dall’opera del sacerdote e poeta Giovanni Battista Gallerio. L’indagine sui suoi autografi e su altri documenti d’archivio, condotta nel contesto di una tesi di laurea e pervenuta ad un’edizione di tutti i materiali friulani ancora reperibili, ha permesso di ampliare la conoscenza di uno dei preti che, negli ultimi due secoli, si sono impegnati maggiormente nell’uso scritto del friulano. Dopo un approfondimento sulla fisionomia culturale dell’autore – affidato a una nota biografica – si presentano due lettere inviate da Giovanni Battista Gallerio a Caterina Percoto. I due scritti aprono sottili spiragli sulla complessa rete dei rapporti intellettuali. Ad una delle missive il sacerdote allega un saggio della propria produzione poetica: a tali brani è qui dedicata una breve nota di filologia d’autore, a chiarire la dinamica delle occasioni, la problematica delle fonti e i percorsi del laboratorio. Conclude il lavoro l’esame dialettologico di questi testi, nel quadro delle conclusioni tratte dall’analisi dell’intero corpus friulano manoscritto.

Versi di Giovanni Battista Gallerio (con due lettere a Caterina Percoto)

ZANELLO G
2001-01-01

Abstract

L’uso del friulano da parte del clero nella divulgazione della dottrina cristiana è testimoniato da una considerevole quantità di prediche diffuse in quasi tutto il Friuli. Ad esse si affiancano i libretti di preghiere e i catechismi copiati a mano e, in seguito, gli esemplari a stampa. Verso la metà dell’Ottocento, nel momento in cui si esaurisce la tradizione scritta popolare dei libretti di preghiere in volgare, emerge un filone più controllato sul piano dell’ortodossia e caratterizzato da ufficialità: è una lenta azione di riforma dei testi, riconducibile, secondo alcuni, al Concilio di Trento. Tale tradizione è alimentata anche dall’opera del sacerdote e poeta Giovanni Battista Gallerio. L’indagine sui suoi autografi e su altri documenti d’archivio, condotta nel contesto di una tesi di laurea e pervenuta ad un’edizione di tutti i materiali friulani ancora reperibili, ha permesso di ampliare la conoscenza di uno dei preti che, negli ultimi due secoli, si sono impegnati maggiormente nell’uso scritto del friulano. Dopo un approfondimento sulla fisionomia culturale dell’autore – affidato a una nota biografica – si presentano due lettere inviate da Giovanni Battista Gallerio a Caterina Percoto. I due scritti aprono sottili spiragli sulla complessa rete dei rapporti intellettuali. Ad una delle missive il sacerdote allega un saggio della propria produzione poetica: a tali brani è qui dedicata una breve nota di filologia d’autore, a chiarire la dinamica delle occasioni, la problematica delle fonti e i percorsi del laboratorio. Conclude il lavoro l’esame dialettologico di questi testi, nel quadro delle conclusioni tratte dall’analisi dell’intero corpus friulano manoscritto.
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