La tecnologia del video trae le sue origini, alla fine degli anni Cinquanta, dalla televisione e da essa prende in prestito l’apparato di visualizzazione: il televisore. Il videotape e le tecnologie per la sua lettura e la sua registrazione inizialmente sono utilizzate esclusivamente in ambito professionale, ma dalla seconda metà degli anni Sessanta vengono adottate anche dal settore consumer. È in questo contesto che alcuni artisti si interessano a questo nuovo mezzo di comunicazione e danno vita a quella forma di arte che verrà definita video arte. Essa infatti utilizza e sperimenta la tecnologia video, ma, a differenza della televisione, non segue gli stessi criteri e le stesse regole dettate dal segnale broadcast, motivo per il quale è considerato un fuori standard. Nell’ambito della video-preservazione, lo statuto di non-broadcast rende problematico lavorare con questi materiali; infatti il fuori standard non permette sempre di usufruire dei macchinari e dei software provenienti dalla televisione e pensati per essa facendo emergere criticità nella definizione di protocolli di intervento di preservazione e di digitalizzazione delle opere di video arte. Partendo dalla presa in esame del contesto di produzione italiano delle opere video degli anni Settanta, questo intervento mira a problematizzare il concetto di fuori standard della video arte da un punto di vista prettamente tecnologico, indagando i meccanismi di funzionamento degli apparati tecnologici utilizzati, con riferimento particolare alla prassi di video-preservazione del laboratorio dell’Università degli Studi di Udine La Camera Ottica.

Video arte e ‘non-broadcast’. Per un’analisi tecnologica del fuori standard nelle prime opere video in Italia

Mary Comin
2019-01-01

Abstract

La tecnologia del video trae le sue origini, alla fine degli anni Cinquanta, dalla televisione e da essa prende in prestito l’apparato di visualizzazione: il televisore. Il videotape e le tecnologie per la sua lettura e la sua registrazione inizialmente sono utilizzate esclusivamente in ambito professionale, ma dalla seconda metà degli anni Sessanta vengono adottate anche dal settore consumer. È in questo contesto che alcuni artisti si interessano a questo nuovo mezzo di comunicazione e danno vita a quella forma di arte che verrà definita video arte. Essa infatti utilizza e sperimenta la tecnologia video, ma, a differenza della televisione, non segue gli stessi criteri e le stesse regole dettate dal segnale broadcast, motivo per il quale è considerato un fuori standard. Nell’ambito della video-preservazione, lo statuto di non-broadcast rende problematico lavorare con questi materiali; infatti il fuori standard non permette sempre di usufruire dei macchinari e dei software provenienti dalla televisione e pensati per essa facendo emergere criticità nella definizione di protocolli di intervento di preservazione e di digitalizzazione delle opere di video arte. Partendo dalla presa in esame del contesto di produzione italiano delle opere video degli anni Settanta, questo intervento mira a problematizzare il concetto di fuori standard della video arte da un punto di vista prettamente tecnologico, indagando i meccanismi di funzionamento degli apparati tecnologici utilizzati, con riferimento particolare alla prassi di video-preservazione del laboratorio dell’Università degli Studi di Udine La Camera Ottica.
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