Il presente contributo ha ad oggetto la nuova denominazione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, divenuto con d.l. n. 22 del 2021, conv. in l. n. 55 del 2021, «Ministero della cultura». Scopo del contributo è proporre alcune riflessioni sul rapporto tra il nuovo nome del Ministero, le funzioni ad esso già attribuite prima del cambiamento di denominazione, e l’art. 9 Cost., nei suoi due commi, in cui la parola «cultura» è contenuta espressamente nel primo. Il contributo prende le mosse da due andamenti tipici del settore dei beni culturali: l’anticipazione sul piano dell’organizzazione amministrativa di innovazioni che hanno tardato ad emergere nella legislazione; l’accentramento in capo ad un unico apparato amministrativo di funzioni riferite a leggi di settore distinte, ma tutte unitariamente riconducibili al concetto di cultura di cui all’art. 9 Cost. Dopo aver sintetizzato l’evoluzione delle attribuzioni del ministero, ci si sofferma sulla parola «cultura», per ripercorrere come sia stato ricostruito nel tempo il suo significato tecnico-giuridico. Si propone una sintesi dell’evoluzione della dottrina in tre atteggiamenti riferiti ad epoche storiche diverse: un primo atteggiamento è di rinuncia, prescindendo da qualsivoglia tentativo di definizione; un secondo atteggiamento ha due volti, una rivendicazione dell’autonomia della disposizione costituzionale dalla legislazione ordinaria esistente e, insieme, l’adesione e ripresa consapevole di concetti maturati in altre scienze umane, a partire dall’antropologia; il terzo è la ricerca di una nozione giuridicamente autonoma, che delle altre scienze trattiene solo alcuni punti. Il contributo si chiude tornano al punto di partenza, la nuova denominazione di Ministero della cultura, mostrando come essa sia in grado di riassumere con un termine unitario le diverse attribuzioni del ministero, trovando un referente diretto e immediato nell’art. 9 Cost. Tuttavia, perplessità vengono espresse sul nuovo nome sia perché evoca i cattivi ricordi di una cultura totalitaria di Stato, contraddicendo il principio del pluralismo culturale come carattere fondante dello Stato sociale costituzionale, sia per la diversa portata del linguaggio nella Costituzione e in riferimento agli apparati amministrativi che, in virtù del principio di legalità, agiscono nei limiti delle funzioni e dei poteri assegnati dalle leggi di settore. Il solo mutamento del nome, perciò, benché assonante con la Costituzione, nulla dice sulla tipologia di funzioni attribuite e sulla qualità degli strumenti per il loro esercizio.

La nuova denominazione del Ministero della cultura

Cozzi A. O.
2021-01-01

Abstract

Il presente contributo ha ad oggetto la nuova denominazione del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, divenuto con d.l. n. 22 del 2021, conv. in l. n. 55 del 2021, «Ministero della cultura». Scopo del contributo è proporre alcune riflessioni sul rapporto tra il nuovo nome del Ministero, le funzioni ad esso già attribuite prima del cambiamento di denominazione, e l’art. 9 Cost., nei suoi due commi, in cui la parola «cultura» è contenuta espressamente nel primo. Il contributo prende le mosse da due andamenti tipici del settore dei beni culturali: l’anticipazione sul piano dell’organizzazione amministrativa di innovazioni che hanno tardato ad emergere nella legislazione; l’accentramento in capo ad un unico apparato amministrativo di funzioni riferite a leggi di settore distinte, ma tutte unitariamente riconducibili al concetto di cultura di cui all’art. 9 Cost. Dopo aver sintetizzato l’evoluzione delle attribuzioni del ministero, ci si sofferma sulla parola «cultura», per ripercorrere come sia stato ricostruito nel tempo il suo significato tecnico-giuridico. Si propone una sintesi dell’evoluzione della dottrina in tre atteggiamenti riferiti ad epoche storiche diverse: un primo atteggiamento è di rinuncia, prescindendo da qualsivoglia tentativo di definizione; un secondo atteggiamento ha due volti, una rivendicazione dell’autonomia della disposizione costituzionale dalla legislazione ordinaria esistente e, insieme, l’adesione e ripresa consapevole di concetti maturati in altre scienze umane, a partire dall’antropologia; il terzo è la ricerca di una nozione giuridicamente autonoma, che delle altre scienze trattiene solo alcuni punti. Il contributo si chiude tornano al punto di partenza, la nuova denominazione di Ministero della cultura, mostrando come essa sia in grado di riassumere con un termine unitario le diverse attribuzioni del ministero, trovando un referente diretto e immediato nell’art. 9 Cost. Tuttavia, perplessità vengono espresse sul nuovo nome sia perché evoca i cattivi ricordi di una cultura totalitaria di Stato, contraddicendo il principio del pluralismo culturale come carattere fondante dello Stato sociale costituzionale, sia per la diversa portata del linguaggio nella Costituzione e in riferimento agli apparati amministrativi che, in virtù del principio di legalità, agiscono nei limiti delle funzioni e dei poteri assegnati dalle leggi di settore. Il solo mutamento del nome, perciò, benché assonante con la Costituzione, nulla dice sulla tipologia di funzioni attribuite e sulla qualità degli strumenti per il loro esercizio.
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