L’articolo propone un’analisi del romanzo Habel (1977) dello scrittore algerino Mohammed Dib : opera che, con un linguaggio impregnato di allegoria e di lirismo, sfuggente e complesso come la realtà rappresentata, mette in scena l’universo interiore di un giovane immigrato. Dib, intellettuale la cui opera magistrale si estende su una sessantina d’anni, in questo romanzo racconta una realtà invisibile e inassimilabile: lo spazio inesistente di un'identità che, paradossalmente, si definisce nella perdita e nell'assenza di un luogo. Lo spazio della città è assunto, allora, per delineare la “topografia” dell’intimità del personaggio, in un’eterotopia disforica della disillusione. L’analisi esplora anche lo spazio eterotopico del supermercato, tracciando i contorni di un non-luogo paradossale: microsmo transitorio che, in quanto luogo di lavoro, dà all’emigrato una piccola porzione di identità. Alla fine del suo percorso fisico ed esistenziale Habel non sceglie di ritornare al paese natio, ma di vivere in una clinica psichiatrica, accanto a Lyli, la sua amata. In maniera ancora una volta paradossale, sarà lo spazio dell’ospedale, eterotopia della ‘déviation’, a sottrarre Habel dal suo anonimato: opposto allo spazio ‘aperto’ ma divoratore, della città, l’ospedale diventa lo spazio ‘chiuso’ della rigenerazione, benchè nella follia. Fra stilistica, narratologia e semiotica, lo studio propone una lettura dei percorsi eterotopici e destabilizzanti di Habel come punto di partenza del delinearsi euforico, neutro e purificatore, della “douceur” di un’utopia (Foucault 2009), in un nuovo presente, ucronico.
Habel de Mohammed Dib : une histoire d'émigration en quête de visibilité
Francesca TODESCO
2024-01-01
Abstract
L’articolo propone un’analisi del romanzo Habel (1977) dello scrittore algerino Mohammed Dib : opera che, con un linguaggio impregnato di allegoria e di lirismo, sfuggente e complesso come la realtà rappresentata, mette in scena l’universo interiore di un giovane immigrato. Dib, intellettuale la cui opera magistrale si estende su una sessantina d’anni, in questo romanzo racconta una realtà invisibile e inassimilabile: lo spazio inesistente di un'identità che, paradossalmente, si definisce nella perdita e nell'assenza di un luogo. Lo spazio della città è assunto, allora, per delineare la “topografia” dell’intimità del personaggio, in un’eterotopia disforica della disillusione. L’analisi esplora anche lo spazio eterotopico del supermercato, tracciando i contorni di un non-luogo paradossale: microsmo transitorio che, in quanto luogo di lavoro, dà all’emigrato una piccola porzione di identità. Alla fine del suo percorso fisico ed esistenziale Habel non sceglie di ritornare al paese natio, ma di vivere in una clinica psichiatrica, accanto a Lyli, la sua amata. In maniera ancora una volta paradossale, sarà lo spazio dell’ospedale, eterotopia della ‘déviation’, a sottrarre Habel dal suo anonimato: opposto allo spazio ‘aperto’ ma divoratore, della città, l’ospedale diventa lo spazio ‘chiuso’ della rigenerazione, benchè nella follia. Fra stilistica, narratologia e semiotica, lo studio propone una lettura dei percorsi eterotopici e destabilizzanti di Habel come punto di partenza del delinearsi euforico, neutro e purificatore, della “douceur” di un’utopia (Foucault 2009), in un nuovo presente, ucronico.File | Dimensione | Formato | |
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