T rent’anni fa la legge Galli ambiva a una ra dicale ristrutturazione del settore idrico ita liano. Il perno della riforma era la divisione del territorio nazionale in «ambiti territoriali ottimali», entro i quali si sarebbero costituite gestioni industriali autosufficienti sul piano delle risorse, sia idriche che finanziarie, con una graduale uscita di scena dello Stato. Questo articolo presenta i principali risultati di uno studio, svolto su incarico del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato ad esaminare il percorso compiuto e ad evidenziarne i punti di forza e di debolezza. In generale, la riforma è stata a lungo incapace di produrre effetti, finché non si è colta la necessità di costituire un modello di regolazione adeguato. Da quel momento, che ha coinciso forse accidentalmente con il referendum del 2011, si avvia un percorso virtuoso che permette di guardare con ottimismo al futuro. Le sfide sono però ancora tante: mentre il settore recupera con fatica una capacità di investimento, il degrado dell’infrastruttura ancora non si arresta. L’adattamento ai cambiamenti e le nuove direttive europee, sia per l’acqua potabile sia per gli scarichi, impongono una nuova stagione espansiva per quanto concerne gli investimenti. Il modello «un ambito, una tariffa, un gestore» introdotto dalla legge Galli richiede qualche adattamento, ma sarebbe pericoloso, a giudizio di chi scrive, aprire una nuova stagione di cantieri istituzionali. Meglio costruire a partire da ciò che c’è e che ha dimostrato di saper funzionare.

Il settore idrico a 30 anni dalla riforma Galli

Massarutto Antonio
2024-01-01

Abstract

T rent’anni fa la legge Galli ambiva a una ra dicale ristrutturazione del settore idrico ita liano. Il perno della riforma era la divisione del territorio nazionale in «ambiti territoriali ottimali», entro i quali si sarebbero costituite gestioni industriali autosufficienti sul piano delle risorse, sia idriche che finanziarie, con una graduale uscita di scena dello Stato. Questo articolo presenta i principali risultati di uno studio, svolto su incarico del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie della Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato ad esaminare il percorso compiuto e ad evidenziarne i punti di forza e di debolezza. In generale, la riforma è stata a lungo incapace di produrre effetti, finché non si è colta la necessità di costituire un modello di regolazione adeguato. Da quel momento, che ha coinciso forse accidentalmente con il referendum del 2011, si avvia un percorso virtuoso che permette di guardare con ottimismo al futuro. Le sfide sono però ancora tante: mentre il settore recupera con fatica una capacità di investimento, il degrado dell’infrastruttura ancora non si arresta. L’adattamento ai cambiamenti e le nuove direttive europee, sia per l’acqua potabile sia per gli scarichi, impongono una nuova stagione espansiva per quanto concerne gli investimenti. Il modello «un ambito, una tariffa, un gestore» introdotto dalla legge Galli richiede qualche adattamento, ma sarebbe pericoloso, a giudizio di chi scrive, aprire una nuova stagione di cantieri istituzionali. Meglio costruire a partire da ciò che c’è e che ha dimostrato di saper funzionare.
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