Le cosiddette Piere di San Gottardo sono un sito sommerso di straordinario interesse che si trova a una distanza di circa 400 metri dal lungomare di Grado. In particolare è costituito da un cumulo romboidale di elementi lapidei di grosse dimensioni, che giacciono su un fondale sabbioso a circa 4 metri di profondità e occupano una superficie complessiva di circa 1650 mq. Benché la più parte dei blocchi si presenti in stato di crollo, restano leggibili una serie di elementi giustapposti e orientati che portano ad escludere che si possa trattare di un macro-butto, quanto piuttosto di una struttura ben definita anche se di ancora ignota funzione. Quello che è certo, invece, è la presenza una serie di materiali di reimpiego, in primis quelli riconducibili a monumenti funerari databili al II-III d.C. e che sono stati in parte recuperati già negli anni ’30 del secolo scorso. La storia degli studi, qui presentati, occupa un arco di 90 anni e per certi versi rappresenta uno spaccato dell’evoluzione metodologica della ricerca archeologica subacquea: dai palombari guidati dalla superficie con l’archeologo che studia a posteriore i manufatti decontestualizzati, alle recentissime indagini dell’università di Udine.

Le cosiddette Piere di San Gottardo. A 90 anni dalla loro scoperta riprendono le indagini archeologiche sulle rovine sommerse al largo di Grado

Massimo Capulli
;
2023-01-01

Abstract

Le cosiddette Piere di San Gottardo sono un sito sommerso di straordinario interesse che si trova a una distanza di circa 400 metri dal lungomare di Grado. In particolare è costituito da un cumulo romboidale di elementi lapidei di grosse dimensioni, che giacciono su un fondale sabbioso a circa 4 metri di profondità e occupano una superficie complessiva di circa 1650 mq. Benché la più parte dei blocchi si presenti in stato di crollo, restano leggibili una serie di elementi giustapposti e orientati che portano ad escludere che si possa trattare di un macro-butto, quanto piuttosto di una struttura ben definita anche se di ancora ignota funzione. Quello che è certo, invece, è la presenza una serie di materiali di reimpiego, in primis quelli riconducibili a monumenti funerari databili al II-III d.C. e che sono stati in parte recuperati già negli anni ’30 del secolo scorso. La storia degli studi, qui presentati, occupa un arco di 90 anni e per certi versi rappresenta uno spaccato dell’evoluzione metodologica della ricerca archeologica subacquea: dai palombari guidati dalla superficie con l’archeologo che studia a posteriore i manufatti decontestualizzati, alle recentissime indagini dell’università di Udine.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11390/1304004
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