Il saggio analizza due poemi italiani della seconda metà dell’Ottocento appartenenti alla poesia risorgimentale italiana: “I sette soldati” (1861) del veronese Aleardo Aleardi (1812-1878) e “Alessandro Petőfi in Siberia” (Cosenza 1929), realizzato nel 1878 all’età di 20 anni dal marchese Armando Lucifero, calabrese, poeta per diletto e buon mestierante della penna, il cui testo rimase del tutto sconosciuto finché il 31 marzo 1989 a Roma, in occasione di una festa mondana, il figlio dell’autore, il novantaduenne marchese Falcone Lucifero, ministro della Real Casa Savoia, insignito del Collare dell’Annunziata, segretario personale dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, consegnava, dedicandogliela, nelle mani del noto drammaturgo ungherese Miklós Hubay, una copia ingiallita di una vecchia edizione del poema epico. Questi due poemi costituiscono due rarissimi casi di come l’eco e i riflessi dell’esperienza umana e poetica del grande poeta magiaro dell’Ottocento Sándor Petőfi (1823-1849) abbiano spinto degli autori italiani a celebrarne in tutto o in parte il ricordo in una loro opera. L’oggetto dei due poemi è il mito di Sándor Petőfi e della sua tragica scomparsa nelle vallate di Transilvania nell’estate del 1849 e l’interpretazione che di quel mito ne danno i due autori italiani. L’attenzione rivolta in questo saggio dall’autore, studioso di letteratura ungherese, ai due poeti “risorgimentali” italiani non è casuale ma si collega strettamente al fatto che entrambi si occuparono, riflettendolo nelle loro opere, del mito del grande poeta ungherese.

Sándor Petofi in due poemetti italiani: I sette soldati (1861) di Aleardo Aleardi e Alessandro Petofi in Siberia (1878) di Armando Lucifero

RUSPANTI, Roberto
2006-01-01

Abstract

Il saggio analizza due poemi italiani della seconda metà dell’Ottocento appartenenti alla poesia risorgimentale italiana: “I sette soldati” (1861) del veronese Aleardo Aleardi (1812-1878) e “Alessandro Petőfi in Siberia” (Cosenza 1929), realizzato nel 1878 all’età di 20 anni dal marchese Armando Lucifero, calabrese, poeta per diletto e buon mestierante della penna, il cui testo rimase del tutto sconosciuto finché il 31 marzo 1989 a Roma, in occasione di una festa mondana, il figlio dell’autore, il novantaduenne marchese Falcone Lucifero, ministro della Real Casa Savoia, insignito del Collare dell’Annunziata, segretario personale dell’ultimo re d’Italia, Umberto II, consegnava, dedicandogliela, nelle mani del noto drammaturgo ungherese Miklós Hubay, una copia ingiallita di una vecchia edizione del poema epico. Questi due poemi costituiscono due rarissimi casi di come l’eco e i riflessi dell’esperienza umana e poetica del grande poeta magiaro dell’Ottocento Sándor Petőfi (1823-1849) abbiano spinto degli autori italiani a celebrarne in tutto o in parte il ricordo in una loro opera. L’oggetto dei due poemi è il mito di Sándor Petőfi e della sua tragica scomparsa nelle vallate di Transilvania nell’estate del 1849 e l’interpretazione che di quel mito ne danno i due autori italiani. L’attenzione rivolta in questo saggio dall’autore, studioso di letteratura ungherese, ai due poeti “risorgimentali” italiani non è casuale ma si collega strettamente al fatto che entrambi si occuparono, riflettendolo nelle loro opere, del mito del grande poeta ungherese.
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