Sono trascorsi più di cento anni dalla prima edizione dell’Abbozzo di un’estetica della musica e sull’opera di Busoni si è sedimentato un giudizio sostanzialmente riduttivo: gli viene sicuramente riconosciuta la passione con cui ha combattuto l’immutabilità dell’ordinamento tonale e indiscusso è il valore innovativo e profetico della sua intuizione di un universo sonoro astratto che i mezzi di elettrificazione del suono avrebbero aperto; ma la portata della tensione ideale, del carattere utopico del suo pensiero viene ridimensionata in quanto Busoni non avrebbe saputo tradurre sul piano compositivo ciò che prefigurava sul piano teorico. La fuga in avanti senza solidi punti di appoggio, l’aspirazione romantica verso l’inesprimibile e l’assoluto gli avrebbero impedito di comprendere che ‘qualcosa di nuovo’ stava nascendo dalle macerie di un’epoca dissolta. La mancanza della dimensione concreta dell’esperienza vissuta nel presente sarebbe anche la causa, in ultima analisi, dell’incompiutezza del Doktor Faust. Il tema delle intersezioni fra il pensiero estetico e la prassi artistica di Busoni è stato approfondito in studi relativamente recenti di storia della teoria musicale, che hanno evidenziato la tendenza di fine Ottocento a neutralizzare la polarità maggiore-minore, forzando il sistema tonale con l’introduzione di elementi di simmetria nei sistemi scalari e nelle soluzioni armoniche. Queste ricerche, pur rivelando con finezza l’intreccio fra tecnica compositiva e riflessione estetica in Busoni, non riescono ad affrancarsi dalla tesi di fondo circa l’inadeguatezza delle sue conquiste in confronto alla temperie che avrebbe portato A. Schönberg alla dodecafonia. A codificare il giudizio riduttivo sull’opera di Busoni contribuisce da ultimo una moda filosofica, prevalentemente anglosassone, bisognosa di certezze ontologiche sull’opera musicale: i suoi sostenitori, presupponendo di avere facile gioco sulla riflessione estetica di Busoni, quando non decidono di ignorarne totalmente l’esistenza, non risparmiano giudizi negativi sul suo pensiero musicale, considerato sostanzialmente debole, ondivago se non addirittura contraddittorio. Le note seguenti del pensiero musicale di Busoni presentano una chiave di lettura inedita che dimostra come inadeguatezza e incoerenza scompaiono se di Busoni si coglie la visione organica (genetica) della musica: il modello biologico dell’atto creativo da lui sintetizzato nell’immagine cosmogonica ancestrale dell’archetipo del fanciullo. In questa prospettiva il Doktor Faust non è solo l’autoritratto dell’artista, ma la rappresentazione stessa dell’essenza della musica.

L’archetipo del fanciullo nell’estetica musicale di Ferruccio Busoni: note per una lettura del Doktor Faust

ORCALLI, Angelo
2010-01-01

Abstract

Sono trascorsi più di cento anni dalla prima edizione dell’Abbozzo di un’estetica della musica e sull’opera di Busoni si è sedimentato un giudizio sostanzialmente riduttivo: gli viene sicuramente riconosciuta la passione con cui ha combattuto l’immutabilità dell’ordinamento tonale e indiscusso è il valore innovativo e profetico della sua intuizione di un universo sonoro astratto che i mezzi di elettrificazione del suono avrebbero aperto; ma la portata della tensione ideale, del carattere utopico del suo pensiero viene ridimensionata in quanto Busoni non avrebbe saputo tradurre sul piano compositivo ciò che prefigurava sul piano teorico. La fuga in avanti senza solidi punti di appoggio, l’aspirazione romantica verso l’inesprimibile e l’assoluto gli avrebbero impedito di comprendere che ‘qualcosa di nuovo’ stava nascendo dalle macerie di un’epoca dissolta. La mancanza della dimensione concreta dell’esperienza vissuta nel presente sarebbe anche la causa, in ultima analisi, dell’incompiutezza del Doktor Faust. Il tema delle intersezioni fra il pensiero estetico e la prassi artistica di Busoni è stato approfondito in studi relativamente recenti di storia della teoria musicale, che hanno evidenziato la tendenza di fine Ottocento a neutralizzare la polarità maggiore-minore, forzando il sistema tonale con l’introduzione di elementi di simmetria nei sistemi scalari e nelle soluzioni armoniche. Queste ricerche, pur rivelando con finezza l’intreccio fra tecnica compositiva e riflessione estetica in Busoni, non riescono ad affrancarsi dalla tesi di fondo circa l’inadeguatezza delle sue conquiste in confronto alla temperie che avrebbe portato A. Schönberg alla dodecafonia. A codificare il giudizio riduttivo sull’opera di Busoni contribuisce da ultimo una moda filosofica, prevalentemente anglosassone, bisognosa di certezze ontologiche sull’opera musicale: i suoi sostenitori, presupponendo di avere facile gioco sulla riflessione estetica di Busoni, quando non decidono di ignorarne totalmente l’esistenza, non risparmiano giudizi negativi sul suo pensiero musicale, considerato sostanzialmente debole, ondivago se non addirittura contraddittorio. Le note seguenti del pensiero musicale di Busoni presentano una chiave di lettura inedita che dimostra come inadeguatezza e incoerenza scompaiono se di Busoni si coglie la visione organica (genetica) della musica: il modello biologico dell’atto creativo da lui sintetizzato nell’immagine cosmogonica ancestrale dell’archetipo del fanciullo. In questa prospettiva il Doktor Faust non è solo l’autoritratto dell’artista, ma la rappresentazione stessa dell’essenza della musica.
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