Il decreto del 1938 di separazione delle competenze di tutela paesaggistica dalle competenze dei lavori pubblici, voluta dal Fascismo, che di fatto ha portato alle leggi 1497 e 1089 del 1939 e alla legge urbanistica 1150 del 1942, con separazione dei Ministeri dell'Ambiente e dei Lavori pubblici, suggellava un'epoca di forti dibattiti, chiudendo il dialogo paesistico-ambientale su scenari dualistici: conservazione preservativa da un lato e sviluppo speculatvo dall'altro. Questo dualismo, che per più di mezzo secolo ha tormentato gli urbanisti e separato i contesti storico-architettonici-culturali dai contesti evolutivi, irrigidendo le strutture semantiche e la prassi edificatoria su stilemi divergenti, ha impedito la reductio ad unum della rilettura paesistica e paesaggistica sul territorio italiano. Questo esempio "forte" di un'Italia post bellica, governata da istanze precedenti, trova analoghe situazioni di irrigidimento delle preesistenze in numerosi altri contesti europei ed extraeuropei, portandoci a dover riflettere, e non è mai troppo tardi, sulla contarapposizione logica di preservazione e conservazione: due fattispecie avverse e di molteplice interpretabilità. Il caso del maresciallo Lyautey e di Prosper Ricard, per il Protettorato Francese in Marocco, nel primo Novecento, evidenzia, col senno di poi, pregi e difetti del modello pereservativo. Senza le loro leggi non avremmo forse più alcun tappeto berbero di valore, se non pochi esempi classici nei maggiori musei: infatti se la produzione tradizionale si è protratta nel XX Secolo, ciò è dovuto anche ai forti vincoli paternalisticamente posti all'utilizzo di nuovi materiali e modi di produzione. Ciò ha avuto corrispondenze anche nelle scelte urbanistiche e architettoniche. I due avevano sperimentato la distruzione prodotta sulla cultura araba e berbera dalla "francesizzazione" dell'Algeria. La separazione della città coloniale moderna dalla medina ha salvaguardato l'insieme medievale delle città storiche, condannandole però a un'arretratezza strutturale che colpisce lo sprovveduto turista, che nulla o quasi percepisce di treni veloci, autostrade efficaci e città contemporanee, che, nascoste dietro la collina o comunque separate dal vernacolare, sono per scelta poco visibili. Evidente appare però il fallimento sulla valle delle mille kasbe, nella regione del Draha, nelle oasi del sud e nei contesti del Medio Atlante e delle aree meno turistiche del Paese. Qui, dopo un secolo, tutto cade. La reinterpretazione degli oggetti edilizi e delle forme lascia perplessi e il vincolo sulle strutture murarie in pisé risulta mortale. Le dinamiche, i disincanti e le dissolvenze sono in ogni angolo acquattate, pronte ad assalire il visitatore responsabile, il collezionista, lo studioso, colui che ritorna, come nell'immagine deturpata da un pesantissimo ponte pedonale ad Ait Ben Haddou, sito simbolo dell'architettura berbera del sud e patrimonio tutelato dall'Unesco. Una porta è murata, la famiglia che mi aveva ospitato non c'è più: sarà in città, a Marrakech, nei sobborghi di "Casà" o alla periferia di Ouarzazate, in forte crescita, di cui il turismo di massa vede gli Studi cinematografici o la kasbah di Taourirt, credendo di essere alle porte del Sahara. Il modello preservativo anni Trenta, contrapposto al razionalismo funzionalista, caduto nella vulgata delle edificazioni facili post belliche, non regge più: come declinare conservazione e preservazione in un mondo che ha cambiato modelli? Il mito iperstatico dei centri storici, non porta forse alle Venezie possibili? La "Nostalgja" assume il portato della malattia e i conflitti tra preservazione, conservazione, progresso e sviluppo rischiano di fossilizzare il paesaggio in forme utopiche che generano distopia, senza mai pervenire ad un risultato conformativo di paesaggio in trasformazione,unico stato logico di un divenire vitale.

Trasformazione paesistica e problemi di preservazione, conservazione e sviluppo: kasbe e medine del Marocco

PEDROCCO, Piero
2012-01-01

Abstract

Il decreto del 1938 di separazione delle competenze di tutela paesaggistica dalle competenze dei lavori pubblici, voluta dal Fascismo, che di fatto ha portato alle leggi 1497 e 1089 del 1939 e alla legge urbanistica 1150 del 1942, con separazione dei Ministeri dell'Ambiente e dei Lavori pubblici, suggellava un'epoca di forti dibattiti, chiudendo il dialogo paesistico-ambientale su scenari dualistici: conservazione preservativa da un lato e sviluppo speculatvo dall'altro. Questo dualismo, che per più di mezzo secolo ha tormentato gli urbanisti e separato i contesti storico-architettonici-culturali dai contesti evolutivi, irrigidendo le strutture semantiche e la prassi edificatoria su stilemi divergenti, ha impedito la reductio ad unum della rilettura paesistica e paesaggistica sul territorio italiano. Questo esempio "forte" di un'Italia post bellica, governata da istanze precedenti, trova analoghe situazioni di irrigidimento delle preesistenze in numerosi altri contesti europei ed extraeuropei, portandoci a dover riflettere, e non è mai troppo tardi, sulla contarapposizione logica di preservazione e conservazione: due fattispecie avverse e di molteplice interpretabilità. Il caso del maresciallo Lyautey e di Prosper Ricard, per il Protettorato Francese in Marocco, nel primo Novecento, evidenzia, col senno di poi, pregi e difetti del modello pereservativo. Senza le loro leggi non avremmo forse più alcun tappeto berbero di valore, se non pochi esempi classici nei maggiori musei: infatti se la produzione tradizionale si è protratta nel XX Secolo, ciò è dovuto anche ai forti vincoli paternalisticamente posti all'utilizzo di nuovi materiali e modi di produzione. Ciò ha avuto corrispondenze anche nelle scelte urbanistiche e architettoniche. I due avevano sperimentato la distruzione prodotta sulla cultura araba e berbera dalla "francesizzazione" dell'Algeria. La separazione della città coloniale moderna dalla medina ha salvaguardato l'insieme medievale delle città storiche, condannandole però a un'arretratezza strutturale che colpisce lo sprovveduto turista, che nulla o quasi percepisce di treni veloci, autostrade efficaci e città contemporanee, che, nascoste dietro la collina o comunque separate dal vernacolare, sono per scelta poco visibili. Evidente appare però il fallimento sulla valle delle mille kasbe, nella regione del Draha, nelle oasi del sud e nei contesti del Medio Atlante e delle aree meno turistiche del Paese. Qui, dopo un secolo, tutto cade. La reinterpretazione degli oggetti edilizi e delle forme lascia perplessi e il vincolo sulle strutture murarie in pisé risulta mortale. Le dinamiche, i disincanti e le dissolvenze sono in ogni angolo acquattate, pronte ad assalire il visitatore responsabile, il collezionista, lo studioso, colui che ritorna, come nell'immagine deturpata da un pesantissimo ponte pedonale ad Ait Ben Haddou, sito simbolo dell'architettura berbera del sud e patrimonio tutelato dall'Unesco. Una porta è murata, la famiglia che mi aveva ospitato non c'è più: sarà in città, a Marrakech, nei sobborghi di "Casà" o alla periferia di Ouarzazate, in forte crescita, di cui il turismo di massa vede gli Studi cinematografici o la kasbah di Taourirt, credendo di essere alle porte del Sahara. Il modello preservativo anni Trenta, contrapposto al razionalismo funzionalista, caduto nella vulgata delle edificazioni facili post belliche, non regge più: come declinare conservazione e preservazione in un mondo che ha cambiato modelli? Il mito iperstatico dei centri storici, non porta forse alle Venezie possibili? La "Nostalgja" assume il portato della malattia e i conflitti tra preservazione, conservazione, progresso e sviluppo rischiano di fossilizzare il paesaggio in forme utopiche che generano distopia, senza mai pervenire ad un risultato conformativo di paesaggio in trasformazione,unico stato logico di un divenire vitale.
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