Non di rado accade che la s.p.a. che ha in programma un aumento del capitale sociale presti, a favore del terzo che si impegna a sottoscrivere l’aumento (che sarà deliberato con esclusione del diritto di opzione dei vecchi soci), delle clausole contrattuali che garantiscono le partecipazioni che saranno emesse o una determinata consistenza del patrimonio sociale. Tali clausole, molto diffuse nei contratti di acquisizione e che, con riferimento all’aumento del capitale sociale hanno ricevuto una certa attenzione nella letteratura di altri ordinamenti, pongono alcune questioni dal punto di vista del diritto societario, in quanto determinano un obbligo di risarcimento e indennizzo a carico della società, che può comportare, in tutto o in parte, un rimborso al socio del valore delle partecipazioni sociali sottoscritte (così come può accadere anche in altre ipotesi, quali, ad esempio, la responsabilità da prospetto). Il primo problema è se le clausole di garanzia possano ritenersi invalide per violazione del divieto di restituzione dei conferimenti o del divieto di patto leonino. La soluzione sembra dover essere negativa: qualora le prestazioni facciano riferimento a sopravvenienze passive, ossia a fatti causalmente riconducibili alla gestione dell’impresa precedenti alla sottoscrizione del capitale sociale, il socio non può ritenersi escluso dalla partecipazione alle perdite; inoltre le pattuizioni in esame non costituiscono uno specifico favore al sottoscrittore, ma tendono ad assicurare che la prestazione della società sia adeguata a quella effettuata dal socio. In secondo luogo, potrebbe discutersi se le clausole di garanzia violino l’art. 2358 c.c.: anche in tal caso la risposta pare negativa, sia perché non vi è alcun aiuto finanziario in senso stretto, sia perché l’operazione è conforme di norma all’interesse della società, e, se l’indennizzo è mantenuto nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili, rispetta la disciplina delle uscite volontarie a favore dei soci (che comunque si devono pronunciare sull’operazione autorizzando in assemblea al compimento dell’atto, ossia alla sottoscrizione dell’impegno nei confronti del terzo futuro socio). Infine, non sembra neppure possibile (come, invece, sostenuto dalla dottrina tedesca) ritenere sussistente una violazione del divieto di autosottoscrizione: le clausole hanno lo scopo di riequilibrare il rapporto di valore tra le azioni e il conferimento, non di far assumere alla società i poteri e i rischi dell’azionista.

L'aumento di capitale "garantito"

SPERANZIN, Marco
2007-01-01

Abstract

Non di rado accade che la s.p.a. che ha in programma un aumento del capitale sociale presti, a favore del terzo che si impegna a sottoscrivere l’aumento (che sarà deliberato con esclusione del diritto di opzione dei vecchi soci), delle clausole contrattuali che garantiscono le partecipazioni che saranno emesse o una determinata consistenza del patrimonio sociale. Tali clausole, molto diffuse nei contratti di acquisizione e che, con riferimento all’aumento del capitale sociale hanno ricevuto una certa attenzione nella letteratura di altri ordinamenti, pongono alcune questioni dal punto di vista del diritto societario, in quanto determinano un obbligo di risarcimento e indennizzo a carico della società, che può comportare, in tutto o in parte, un rimborso al socio del valore delle partecipazioni sociali sottoscritte (così come può accadere anche in altre ipotesi, quali, ad esempio, la responsabilità da prospetto). Il primo problema è se le clausole di garanzia possano ritenersi invalide per violazione del divieto di restituzione dei conferimenti o del divieto di patto leonino. La soluzione sembra dover essere negativa: qualora le prestazioni facciano riferimento a sopravvenienze passive, ossia a fatti causalmente riconducibili alla gestione dell’impresa precedenti alla sottoscrizione del capitale sociale, il socio non può ritenersi escluso dalla partecipazione alle perdite; inoltre le pattuizioni in esame non costituiscono uno specifico favore al sottoscrittore, ma tendono ad assicurare che la prestazione della società sia adeguata a quella effettuata dal socio. In secondo luogo, potrebbe discutersi se le clausole di garanzia violino l’art. 2358 c.c.: anche in tal caso la risposta pare negativa, sia perché non vi è alcun aiuto finanziario in senso stretto, sia perché l’operazione è conforme di norma all’interesse della società, e, se l’indennizzo è mantenuto nei limiti degli utili distribuibili e delle riserve disponibili, rispetta la disciplina delle uscite volontarie a favore dei soci (che comunque si devono pronunciare sull’operazione autorizzando in assemblea al compimento dell’atto, ossia alla sottoscrizione dell’impegno nei confronti del terzo futuro socio). Infine, non sembra neppure possibile (come, invece, sostenuto dalla dottrina tedesca) ritenere sussistente una violazione del divieto di autosottoscrizione: le clausole hanno lo scopo di riequilibrare il rapporto di valore tra le azioni e il conferimento, non di far assumere alla società i poteri e i rischi dell’azionista.
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